
Gordon Lish, 91 anni, considerato l'eminenza grigia dell'editoria americana del Secondo Novecento è da sempre rimasto intrappolato dall'etichetta di scopritore di Raymond Carver e del minimalismo: ogni frase deve puntare non all'osso ma al midollo. Un rapporto controverso quello con Carver visto che moltissimi critici hanno accusato Lish di aver quasi costruito il fenomeno Carver senza rispettare la sua voce autentica. Eppure Lish - che ha scoperto anche scrittori come Harold Brodkey, Richard Ford, Cynthia Ozick, David Leavitt, solo per citarne alcuni - è anche uno scrittore che ha sempre difeso la dignità e a volte la superiorità del racconto breve come genere letterario.
Ora arriva in Italia, grazie a Volevo essere stupefacente (Racconti edizioni, a cura di Stefano Friani; traduzione di Roberto Serrai), un'antologia di prose brevi tratte da Collected Fiction che stupiranno più di un lettore - ne diamo in questa pagina alcuni passaggi in anteprima italiana - perché Lish dimostra come l'etichetta affibbiatagli dalla vulgata dei salotti letterari americani di spietato costruttore a tavolino di successi editoriali sia ben lontana, se non dalla realtà, di certo dalla finzione di questi racconti.
Don DeLillo ha scritto più volte che «Gordon Lish - noto per i motivi più sbagliati- ha scritto alcune tra le cose più affascinanti che siano state prodotte negli ultimi anni». E se il giudizio può apparire ad una prima lettura esagerato è immergendosi in queste brevi prose (alcune anche solo di una pagina) che comprendiamo come per Lish scrivere sia un «autominimalismo»: non so se la definizione esista ma data la fama minimalista da editor di Captain Fiction (così è noto negli States), forse definisce al meglio il passo letterario in più compiuto da Lish. È come se Lish scrittore eliminasse anche se stesso dalla narrazione, lasciando spazio alle parole, alla punteggiatura, agli spazi bianchi. Lish non sovrasta mai ciò che osserva, anche quando sembra autobiografico o quando descrive un universo ben lontano dai salotti letterari che tutti immaginiamo frequenti. Senzatetto, prostitute, figli viziati, sono il mondo che popola queste pagine, come fossero testimoni di una esistenza sempre sospesa tra la «vita di chi scrive e la morte di chi è scritto».
E che rivendica, quando ad esempio nella prefazione sottolinea di aver scritto queste prose «una volta. Tanto tempo fa. Quando la truffa del litterateur andava non meno di moda che adesso». Concludendo con «Ma ora basta, è giunta l'ora». Per lui di pubblicarli e per noi di leggerli.