
Pubblichiamo per gentile concessione della Libreria editrice vaticana uno stralcio dell'introduzione di Pensare il buon governo. La democrazia e i limiti del potere (pagg. 164, euro 20), volume a firma di Flavio Felice, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all'università del Molise. Il saggio raccoglie riflessioni sul tema della politica quale missione al servizio del bene comune.
Ogni libro ha una storia e la storia del presente libro ha a che fare con il mio personale sentimento di gratitudine nei confronti di una terra e della sua Chiesa: l'Alto vastese e la diocesi triventina; in questa piccola porzione di mondo affondano le radici della mia famiglia. In seguito a un convegno organizzato dall'ufficio per la pastorale per i problemi sociali e del lavoro della diocesi di Trivento, Mons. Claudio Palumbo, all'epoca vescovo di quella diocesi, mi propose di iniziare a lavorare a un libro che potesse essere pubblicato nella collana Analecta Ecclesiae Triventinae della Libreria Editrice Vaticana .
Il volume è suddiviso in due parti. La prima parte, intitolata Il Buongoverno e la plurarchia sociale, si articola in quattro capitoli, nei quali ho pensato di esporre una teoria del Buongoverno . La seconda parte del libro, intitolata: Se vuoi la pace, edifica istituzioni di pace, articolata in tre capitoli, è in continuità con la prima e tenta di declinare il paradigma del Buongoverno e della plurarchia sociale nella direzione di un ordine di pace duraturo, avendo alla base la nozione di fraternità nell'orizzonte teorico del popolarismo sturziano.
Il filo conduttore che unisce le parti può essere sintetizzato con l'espressione che Papa Benedetto XVI ha utilizzato per definire la stessa politica, alla luce della prospettiva cristiana: «la via istituzionale della carità». Il compito della politica, dunque, consiste nel «prendersi cura e l'avvalersi di un complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale mondiale, in modo tale che prenda forma di pólis, di città dell'uomo».
Nella prospettiva sviluppata nel presente volume, tale fil rouge si articola in almeno tre aspetti: il tema della fraternità, quello del servizio e, infine, la questione della vulnerabilità ovvero dell'umana fallibilità. La fraternità illumina nella concretezza la libertà e l'eguaglianza, sottraendole alla pura astrazione che le consegna alla storia in forma disincarnata e ideologizzata; la terna libertà, eguaglianza e fraternità andrebbe pensata assieme, affinché la storicità e la concretezza della fraternità possano incarnare l'implementazione istituzionale della libertà e dell'uguaglianza. La fraternità consente alla libertà di non essere una pura astrazione, quindi condivisa e limitata, e consente all'uguaglianza di favorire e valorizzare la diversità, la singolarità.
Con riferimento alla politica come servizio, ricordiamo quanto affermato da Papa Francesco: «Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce». Il potere in quanto servizio rimanda all'idea di azione di governo come ad-ministrari, piuttosto che come summa potestas. Con ciò assumendo non più la prospettiva monistica del gubernaculum, del government, ma quella poliarchica del moderari, della governance, che in una sostanziale continuità abbraccia manifestazioni storiche pur in sé differenti, quali la Res publica degli antichi romani, l'Administration del liberalismo anglosassone, fino a ciò che Sturzo definiva «potere e amministrazione del bene comune».
Infine, il tema della vulnerabilità. Nel quadro della teoria politica, in modo estremamente semplificato, possiamo osservare come operino due culture politiche: una utopistica e una realistica. I rivoluzionari utopistici ritengono che la fonte del male sia da ricercare in determinate strutture sociali e in determinati sistemi e solo la loro rimozione produrrà la definitiva estinzione del male. I realisti, al contrario, sostengono che la radice del male stia nella costituzione fisica e morale dei singoli esseri umani, nella loro vulnerabilità, e che nessun sistema sociale, per quanto ingegnosamente pensato, sia in grado di eliminare definitivamente il peccato o il limite dalla sfera della libertà umana. Giovanni Paolo II ci ricorda che, benché l'uomo sia creato per la libertà e tenda verso il bene, porta in sé i segni del peccato originale che lo rendono quotidianamente bisognoso di redenzione.
Tale verità non è solo parte integrante della rivelazione cristiana, ma presenta nel contempo un grande valore ermeneutico per comprendere le realtà sociali, politiche ed economiche, in quanto aiuta a svelare la complessa realtà umana e la postura riformatrice, fallibilista e antiperfettista del cattolicesimo liberale.