Luci e ombre della rivoluzione "Creator"

Andrea Girolami entra nel mondo economico e culturale dei "creatori di contenuti"

Luci e ombre della rivoluzione "Creator"

L'allarme era suonato già due anni fa; nel volume Influencers&Creators. Business, Culture and Practice (SAGE Publications, 2023) i tre autori - Robert Kozinets, Ulrike Gretzel e Rossella Gambetti - davano conto degli studi psicologici condotti sui content creator e sulle minacce più evidenti alla loro salute, dall'ansia continua di prestazione, alla depressione, al burnout, fino alla rinuncia, non sempre pienamente consapevole, alla propria intimità. Nello stesso anno, il 2023, l'agenzia del lavoro Adecco realizzava uno studio sulle aspirazioni lavorative dei giovanissimi; se un tempo si desiderava esplorare lo spazio o, al limite, diventare calciatori, tra i giovanissimi iniziava ad affermarsi sempre di più proprio la figura del content creator. Nonostante i soliti, stantii pregiudizi che circondano la figura, considerata al massimo esponente di un hobby, che è poi il destino storico capitato in sorte anche agli artisti, non c'è dubbio alcuno che quella del creatore di contenuti sia una professione a tutti gli effetti; non solo per via della monetizzazione dei contenuti, ma proprio per la metodica produttiva e lavorativa sottesa a questo processo. Andrea Girolami, content manager, giornalista e responsabile dello sviluppo dei contenuti digitali di Mediaset, ha appena dato alle stampe il volume Rivoluzione creator. Che cosa fanno, come lo fanno e perché (Il Mulino) che aiuta la comprensione di dinamiche e di caratterizzazioni sempre più centrali nella nostra società. D'altronde da qualche anno opera nell'orbita di Confcommercio e di Confcommercio Professioni, guidata questa da Anna Rita Fioroni, l'associazione AssoInfluencer, chiamata a promuovere e tutelare la professione dei creator. Le questioni gius-lavoristiche d'altronde non mancano, visto che le piattaforme non sono datori di lavoro ma dal loro comportamento, ad esempio di rimozione dei contenuti, può dipendere la carriera di un creator.

Girolami parte da un assunto oggettivo; quella dei creator è a tutti gli effetti, e senza enfasi, una rivoluzione. Ruota, copernicamente, attorno la virale e capillare diffusione degli smartphone. «Lo smartphone è il sole e tutto il resto gli ruota attorno» ha dichiarato Benedict Evans, ex partner del fondo di venture capital della Silicon Valley, Andresseen Horowitz, uno dei più importanti e dei più attivi anche al fianco dell'attuale amministrazione Trump. La diffusione degli smartphone ha determinato l'immersione collettiva in una sorta di liquido amniotico video; inondati, sotterrati, da contenuti video e audio, animazioni, abbiamo iniziato a percepire il telefono come un second screen, subito dopo la televisione. In realtà, questo oceano di informazioni e di stimoli ha ben presto portato a scalzare la televisione stessa; la possibilità di accedere a contenuti video di qualunque genere, molti dei quali non sarebbero nemmeno incasellabili in un genere televisivo, ha portato molti a concepire lo smartphone stesso come first screen. Le principali piattaforme social ne hanno preso atto, modulando le loro architetture algoritmiche di conseguenza. È la creatorizzazione del mondo, la produzione di una economia e di un ecosistema culturale e sociale che permeano ogni snodo dell'esistenza: da Chiara Ferragni a Kim Kardashian, la prima ondata delle influencer di successo ha dimostrato come il fenomeno sia strutturale. A passare, spesso velocemente, possono essere i singoli creatori, inghiottiti dal flusso accelerato, ma il meccanismo permane. Di particolare interesse i capitoli che Girolami dedica al «lavoro del creator: produrre contenuti» e alla «creator economy»: contribuiscono, significativamente, a sfatare luoghi comuni e tabù, principalmente quello enucleato prima e cioè che realizzare video e contenuti postati poi online non sia altro che un passatempo più o meno retribuito. Passando in rassegna la «cassetta degli attrezzi dei creator» si comprende come in questo ambito uno non valga e non possa valere uno. Un Dario Moccia o una Cooker Girl, un Franchino er Criminale o uno Zano, un Blur o un Attrix, un Cicalone o un Il Masseo sono tutti diversi tra loro, per piattaforma scelta, ambito, linguaggio ma rispondono tutti a un fisiologico imperativo; venir individuati in un magma altrimenti indistinto di creatori di contenuti. Hanno un loro registro, una loro voce, una identità che è identità di linguaggio e di codice espressivo. Di recente alcuni dei creator citati hanno rivelato le loro difficoltà emotive e psicologiche, sottoposti allo schiacciamento turbinante della «ruota del criceto» che Girolami infatti analizza: ne emerge la necessità di una disciplina profonda, e mentale, di organizzazione del lavoro, al fine anche di potersi disconnettere dal flusso. Ma rimangono le problematiche immani, spesso propiziate da alcune piattaforme legate allo streaming.

Tra le varie modalità di creazione di contenuti, non c'è dubbio che lo streaming a volte assurga a reale ordalia, in cui non c'è più scissione tra creatore e contenuto: è il creatore stesso a mettersi a disposizione degli spettatori come contenuto.

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