Ci voleva un genio, uno scrittore fuori dalle regole, da ogni regola, come Oscar Wilde per sintetizzare brillantemente un principio liberale e individualista fenomenale, e cioè che l'inferno è lastricato di buone intenzioni. Quasi un secolo dopo gli economisti di Chicago, che avevano la grande capacità di parlare chiaro, motteggiavano: se qualcuno bussa alla tua porta per farti un favore, scappa a gambe levate. È una vecchia questione, quella dell'inferno. Ovidio nelle Metamorfosi scriveva: «Verum velle parum est». Più o meno: di buone volontà è pieno l'inferno. È una roba che abbiamo dentro. È una difesa che dobbiamo cercare di riarmare. Siamo circondati da gente con buone intenzioni. Con il crescere della dimensione pubblica, che Ovidio e Wilde non potevano forse immaginare, ma che gli economisti di Chicago avevano colto, oggi ci troviamo immersi nelle terribili buone intenzioni di chi ci governa. Ecco perché stiamo gradualmente scendendo all'inferno. Sia chiaro, ognuno di noi ha delle buone ragioni per credere alle buone ragioni del vicino. E diciamo di più: abbiamo anche delle buone ragioni per credere a delle pessime idee. La filantropia è diventata assistenzialismo, l'aiuto umanitario è diventato organismo sovranazionale, la buona educazione è diventata norma sulle parole, la tolleranza è diventata regolamento, l'aiuto del più debole è diventato discriminazione del più forte. E così via. Lentamente siamo scesi all'inferno. Ma ce ne stiamo accorgendo. Vorrei fare un esempio molto concreto di questa strada infernale. Negli ultimi dieci anni, le società finanziarie di tutto il mondo hanno scovato un'arma micidiale. Essa ha una sigla: Esg. Che sta per Environmental, Social e Governance (Ambiente, Sociale e Governance) e indica un insieme di criteri per valutare la sostenibilità e la responsabilità etica di un investimento. Questi criteri, nelle buone intenzioni, dovrebbero valutare l'impatto ambientale di un'azienda, il suo modo di relazionarsi con la società e i lavoratori, e l'efficacia della sua gestione e trasparenza. L'obiettivo è integrare questi fattori etici e sociali con l'analisi finanziaria tradizionale per identificare investimenti a valore crescente nel lungo periodo. Come vedremo, sono tutte balle, utili a lastricare di verde e di sostenibilità i profitti della nostra finanza.
Milton Friedman, il celebre economista di Chicago, aveva capito tutto in tempi non sospetti. In una intervista rilasciata al New York Times il 13 settembre del 1970 scriveva: «Vi è una sola responsabilità sociale dell'impresa: aumentare i suoi profitti . Il vero dovere sociale dell'impresa è ottenere i più elevati profitti ovviamente in un mercato aperto, corretto e competitivo producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile». Come potete immaginare, questa affermazione fu contestata e detestata da generazioni di economisti e analisti e buonisti globali. Ma come, si disse: le imprese si devono occupare di tutti i portatori di interessi Le società devono pensare ai loro lavoratori, giusto; all'ambiente, giusto; al quartiere, giusto; alla nazione, giusto; alla diversità, giusto E la lista potrebbe continuare all'infinito, secondo i buoni fini etici stabiliti dall'opinione prevalente del momento. Fantastico. E il terribile profitto? Una variabile minore: peccato che solo il suo perseguimento possa rendere possibili gli stessi obiettivi sociali che il buonismo finanziario à la page pretende. E se dovesse mancare? Verrebbe a mancare proprio l'impresa, il lavoro e le risorse che servono a progredire. Arriviamo così ai tempi di oggi. Quando consegnate i vostri quattrini, figli del lavoro già tassato, alle società finanziarie, che dovrebbero farli fruttare, non dovete pensare solo al rendimento di questo gruzzoletto, ma a come i finanzieri li investono secondo criteri etici, che loro stessi stabiliscono dietro alla fumosa etichetta di Esg. Vediamo cosa è successo negli ultimi cinque anni. Se il signor Rossi avesse investito in un Etf (un prodotto finanziario che raggruppa diverse azioni quotate) con il marchietto etico (Esg) avrebbe perso un terzo del guadagno rispetto a un investimento fatto con un Etf non etico. Andatelo a spiegare al signor Rossi che ha contribuito a salvare il pianeta. Si trova meno soldi sul suo conto corrente, perché la società finanziaria ha deciso di investire solo in titoli che loro hanno stabilito puliti. Il signor Bianchi che invece avesse deciso di essere «avido» si troverebbe un mucchio di quattrini in più, con una parte dei quali potrebbe decidere di fare tutto il bene che vuole. Ma decidendolo lui. È la solita storia. L'inferno è lastricato di buone intenzioni. Ma quando queste buone intenzioni le decide qualcun altro per conto nostro, le cose diventano anche peggiori.
La gigantesca balla dell'Esg non ha cambiato l'industria e la finanza mondiale. Ha ridotto i rendimenti per milioni di investitori che sono caduti nella trappola, ha aumentato i profitti delle banche che li hanno venduti e ha riempito di cherosene i Falcon dei finanzieri che predicano il rispetto dell'ambiente a spese nostre. Le istituzioni europee sono le più fanatiche nel loro paternalismo etico. Vi citiamo solo la follia dell'Etf sulle navi da trasporto. Hanno stabilito di applicare una tassa (buona, verde ed ecologica) sui trasporti di merce via mare che producono Co2. Ovviamente la possono applicare solo sulla loro giurisdizione, cioè l'Europa. E l'imposta è chiaramente proporzionata alle miglia percorse. La fenomenale e imbecille previsione buonista sta avendo due effetti collaterali prevedibili e micidiali. I porti del Nord Africa sono diventati più convenienti. 2.000 tCO2 prodotti da un portacointainer che sbarca merci a Gioia Tauro dalla Cina, costa all'armatore 150.000 euro di tassa. Se le sbarca a Tangeri, l'armatore non paga un euro. Poi dal Nord Africa le smisterà in Europa con tassa ridotta, visto il poco tragitto da fare. Morte dei porti europei e prosperità dei concorrenti esentasse. Senza diminuire un grammo di Co2 prodotta. Ma non basta. Disincentivare il traffico via mare, incentiva alternative su gomma, tassate paradossalmente meno. Chi ci governa, citando Alexis de Tocqueville, è un tiranno gentile.
«Viviamo un nuovo tipo di servitù in cui un potere immenso e tutelare copre la superficie della società con una rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa: esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige: raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi della quale il governo è il pastore».
Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A
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