Un profeta apocalittico in cui arte e vita s’intrecciano. Tra cristianesimo e peccato

Un saggio di Alessandro Gnocchi traccia un inedito parallelo esistenziale fra lo scrittore lombardo e Pier Paolo Pasolini

Un profeta apocalittico in cui arte e vita s’intrecciano. Tra cristianesimo e peccato

Dopo le celebrazioni di Pasolini per il centenario della nascita, 1922, tocca ora, in naturale successione, a Giovanni Testori, nato nel 1923, personalità anche più complessa, e per certi versi affine a Pasolini. L'originalità e la forza delle sue idee, in una straordinaria connessione fra le capacità professionali di storico dell'arte (anche lui allievo di Roberto Longhi) e la vera e propria vocazione di scrittore, poeta e drammaturgo, si compongono, come fu per Pasolini (e prima che la televisione aprisse la strada all'affermazione delle mie idee su vasta scala), in una fondamentale collaborazione giornalistica al Corriere, dove fu editorialista tra il 1977 e il 1981, essendo anche titolare della pagina dell'arte. Mai come in Testori arte e vita s'intrecciarono, facendosi pensiero condiviso, visione militante, ideologia per il movimento di Luigi Giussani Comunione e Liberazione, come testimonia Luca Doninelli. Per capire questa singolarissima posizione nel mondo delle idee ricevute, delle ideologie, del politicamente corretto, è necessario leggere il bel libro di Alessandro Gnocchi Testori corsaro (La nave di Teseo) che ci riporta a un tempo che io ho vissuto, il tempo della mia formazione, con la soddisfazione di chi vede vacillare i luoghi comuni della critica, della sociologia, della letteratura, dell'arte, mai come in quegli anni dominanti, in quelle anime morte che Carmelo Bene chiamava «i depensanti». Testori era apocalittico, e condivideva la necessità di attribuire al Cristianesimo la centralità invocata da Benedetto Croce e confermata da Pasolini. Come scrive Gnocchi: «Chi volesse una ricostruzione puntuale dei numerosi punti di contatto, incontri e anche scontri tra Pasolini e Testori si può rivolgere al documentato saggio di Davide Dall'Ombra e alle riflessioni di Giuseppe Frangi. Ci sono grandi affinità biografiche e culturali tra Pasolini e Testori: sono quasi coetanei, hanno amato intensamente le proprie madri, cominciato con la pittura, condiviso molte passioni artistiche, dato un giudizio negativo sul Sessantotto, rifiutato l'aborto, vissuto un'omosessualità sofferta, suscitato un costante scandalo a causa delle opere, affrontato i tribunali e la censura. Entrambi sono stati cattolici imperfetti, Testori per inquietudine, Pasolini per assenza di fede, anche se scrisse: Io non credo che Cristo sia figlio di Dio. Perché non sono credente, almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l'umanità sia cosi alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei termini comuni dell'umanità». Tornare a quegli anni, fine Settanta - primi Ottanta, per me non è solo tornare alla mia giovinezza inquieta, ma a un'epoca di pensieri e tensioni intellettuali oggi scomparsi, in una indifferenza colpevole. Io senza Pasolini e Testori non sarei quello che sono, e li ho conosciuti entrambi nell'epoca del loro pathos; ma Testori l'ho frequentato. Averlo visto, averlo conosciuto, aver condiviso con lui la scoperta di pittori antichi e moderni è una esperienza indimenticabile, dà ordine e indirizzo alla vita. Testori ha rappresentato per la cultura italiana qualcosa che dà senso, al di là delle figurine, all'arte. Ha capito la potenza della scoperta di Caravaggio da parte di Longhi. E se Pasolini si è incaricato di testimoniarlo con la sua vita e la sua opera, Testori ha continuato e approfondito la ricerca sulla pittura lombarda nel suo rapporto con la società e con la cultura dei Sacri monti, che è profonda persistenza dei valori cristiani, dividendo con Francesco Arcangeli le ricerche sul '600: Arcangeli quello emiliano, Testori quello lombardo. Ma non è stata solo opera di filologia (penso Tanzio da Varallo, Francesco del Cairo, Morazzone, Ceruti) ma anche consapevolezza di valori, dissolti in una contemporaneità piegata dal mercato. Ed ecco allora la sua resistenza, con la proposta di pittori come Varlin, Vallorz, Giancarlo Vitali, e i giovani neoespressionisti tedeschi e austriaci, da Fetting a Scheibl. Leggere Testori era respirare aria libera, anche oltre il pessimismo e il fatalismo di Pasolini, che cercava isole di salvezza contro l'omologazione, che si è perversa e compiuta in globalizzazione. Di lui scrivevo, e oggi non saprei di chi dirlo: «Testori era il peccatore e quella del peccatore era per Testori l'unica condizione possibile per l'uomo». Nelle tante interviste rendeva ancora più forte il suo pensiero: «Umilmente e orrendamente devo riconoscere che il mio rapporto con Cristo è stato drammaticissimo, troppo presente, me lo trovavo sempre tra i piedi, bestemmiavo per cacciarlo, ma lui tornava...». E ancora in altri passi: «Ai politici dico che l'unica cosa che gli resta è inginocchiarsi chiedendo perdono, non davanti a me che sono indegno, ma davanti a tutte le loro vittime. Accuso i partiti: un disastro, una poltiglia...». «La grandezza di questo grande cattolico è quella di confrontarsi con il peccato come elemento fondamentale dell'esistenza e non pensare che c'è un mondo ideale, un mondo dell'utopia, un mondo della politica, un mondo della pulizia morale. Non esiste quel mondo. Non c'è.

Da una parte un uomo con la grandissima forza morale dei suoi problemi individuali, dall'altra parte un Parlamento che discute astrattamente della questione morale dividendo il mondo in buoni e cattivi, non sapendo che ogni buono è cattivo e ogni cattivo è buono». In verità, in questi tempi di fantasmi, Testori appare un profeta.

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