Letteratura

Venerdì 13: l'orrore degli attentati di Parigi nei racconti dei sopravvissuti

Emmanuel Carrère torna in libreria con Adelphi e lo con fa con V13, un libro in cui lo scrittore parigino racconta il processo contro i responsabili degli attentati di Parigi del 2015

Venerdì 13: l'orrore degli attentati di Parigi nei racconti dei sopravvissuti

"Io non sono rimasto coinvolto negli attentati, e nessuno dei miei cari lo è stato. Però mi interessa la giustizia." Queste sono le parole che Emmanuel Carrère utilizza in apertura di V13, quasi a voler rendere subito noti gli intenti alla base della stesura di questo reportage che arriva in Italia con Adelphi. Intenti che sono palesi proprio dalla scelta del titolo: V13, un acronimo che sta per Venerdì 13 e che rimanda subito a quel venerdì 13 novembre 2015 in cui la città di Parigi è stata sconvolta da una serie di attentati terroristici di matrice islamica, di cui il più noto è quello al locale Bataclan, dove si stava esibendo il gruppo rock Eagles of Death Metal. Ma V13 è anche il "titolo" che è stato dato al processo contro i complici degli attentati e all'unico terrorista sopravvissuto: un processo a cui Emmanuel Carrère ha partecipato ogni giorno, con il compito di scrivere 7800 battute alla settimana per l'Obs. V13 è un libro che ripropone questi articoli, rivisti e rimaneggiati, arricchiti da quelle parti che per spazio e necessità erano state eliminate alla prima stesura.

Il libro è diviso in tre parti, dal titolo Le vittime, Gli Imputati e La Corte. Emmanuel Carrère, come aveva già fatto in lavori noti come L'Avversario e Limonov, mette la sua scrittura non solo al servizio della verità, ma soprattutto alla decostruzione della concezione di verità, per analizzare il reale e la sua contemporaneità, utilizzando il mondo del reportage e in generale del true crime per poter guardare un'umanità che sembra gettata nel caos e che è in grado di partorire storie più assurde di qualsiasi immaginazione. Inoltre gli attentati al Bataclan, allo Stade de France e nei dehors dei locali parigini sono pagine di una storia che ha scosso il popolo francese, che ha assunto una certa natura di universalità. Non si tratta di un crimine raccontato a bordo pagina, né di un omicidio di campagna che sembra quasi un divertissement per la borghesia francese. Con V13, Emmanuel Carrère affronta una cicatrice che è francese nella sua interezza, che si intreccia alla storia della città, quasi sfidandone il motto, fluctuat nec mergitur.

Ed Emmanuel Carrère racconta questa pagina di storia contemporanea cercando di mantenere uno sguardo sempre lucido, sempre attento a cogliere qualsiasi sfumatura. Si sofferma sulla scelte delle parole, sui "brandelli di corpi", sull'aggettivo "aggrovigliarsi": mentre è seduto nella "scatola di legno bianco", lo scrittore cerca l'interiorità dei soggetti del suo racconto. Dà tridimensionalità ai parenti delle vittime, racconta chi non c'è più attraverso le persone che le hanno amate e riflette sull'ingiustizia legata alle vittime di serie A e serie B. Indaga la condizione umana per cui gli attentati di Parigi sono sempre quasi esclusivamente quelli legati al Bataclan.

Senza dubbio la parte più difficile da leggere è la prima, quella dove i sopravvissuti e i parenti delle vittime raccontano la loro esperienza. È un pugno costante nello stomaco, una lettura che ferisce l'empatia del lettore, che lo pone davanti a qualcosa che sembra inenarrabile e che pure Emmanuel Carrère riesce a mettere su pagina: il senso di colpa dei sopravvissuti, la vergogna di chi per sopravvivere ha dovuto schiacciare corpi, il coraggio di chi rimane per non lasciare uno sconosciuto morire da solo. Sono racconti crudi e vividi, ma la grandezza di Emmanuel Carrère sta proprio nel suo non eccedere mai nei toni, nel non scadere in facili ricatti emotivi che sarebbero ancora più semplici visto il tema tanto delicato.

Soprattutto, lo scrittore parigino si mostra un giudice superpartes nella sua opera, nella sua capacità di dare la stessa importanza alle vittime e ai carnefici. Sarebbe stato senz'altro più facile concentrarsi solo sulle vittime, vestirle di un abito di santità ed empatia: raccontare chi non ce l'ha fatta, analizzare chi è sopravvissuto e ha ripreso in mano la sua vita. Ma a Emmanuel Carrère non interessa tanto smuovere l'emotività dei suoi lettori: lo dice all'inizio dei suoi scritti. A lui interessa la giustizia. Ed essa, per essere praticata, ha bisogno di due facce di una medaglia. V13 non lesina sulle storie dei carnefici, su coloro che si sono radicalizzati: ai parenti delle vittime vengono contrapposti i racconti dei genitori degli attentatori. Vittime indirette, padroni di un dolore che nell'opinione pubblica non avrebbe alcun diritto di esistere e che pure esiste e che lo scrittore afferra e indaga, con una curiosità che non è mai morbosa, ma quasi scientifica.

Emmanuel Carrère - che ha presentato il suo lavoro a Roma e Milano, rispettivamente il 25 e il 27 marzo - analizza anche questa sua propensione a puntare la lente sui responsabili, con una consapevolezza personale che è un valore aggiunto al libro. "Per le vittime si prova pietà," scrive, "ma è dai colpevoli che si cerca di capire la personalità. Sono le loro vite che vengono passate al setaccio per scovare il punto di rottura, il momento misterioso in cui hanno deviato verso la menzogna o il crimine". La lettura di V13 non è quasi mai una lettura facile: è invece molto dolorosa, a tratti scioccante, che mette il lettore davanti alla consapevolezza del caos che abita la modernità e che pone ogni essere umano davanti ai capricci della storia. Ma la scrittura di Emmanuel Carrère è pulita e precisa, come un bisturi che sa perfettamente come dissezionare il cadavere di un racconto in cui si combatte per la Storia.

È ancora lo scrittore a chiarire l'andamento del racconto e del processo: "All'inizio si depone la sofferenza, alla fine si rende giustizia."

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