Le lettere furiose di Ida Dalser contro Benito «il disgraziato»

Dentro una tragedia collettiva immane quale fu il fascismo, i milioni di drammi personali che travolsero così tante famiglie rischiano di scomparire dalla memoria. Tra le vicende bagnate di sangue e di lacrime che invece il tempo non ha scolorato, anzi ha ravvivato nelle sue tinte passionali più accese, per via dei personaggi eponimi coinvolti, c’è quella di Ida Dalser, la donna con la quale Benito Mussolini ebbe una relazione dalla quale nacque nel 1915 il figlio Benito Albino, morto nel 1942 in un istituto psichiatrico. Lo stesso destino cui era andata incontro, cinque anni prima, la madre, resa pazza dall’abbandono e dal dolore.
Sulla storia di Ida Dalser molto si è scritto e si è «narrato». Due anni fa Marco Bellocchio l’ha evocata nel film Vincere, dove Giovanna Mezzogiorno impersona il personaggio di Ida e Filippo Timi interpreta sia Benito Mussolini da giovane che il figlio Benito Albino da adulto. Ora alla tormentata e oscura vicenda (si discute sull’esistenza dei documenti che attestano il matrimonio e il riconoscimento del bambino) si aggiungono particolari assolutamente inediti, come lo sono le lettere che la Dalser scrisse tra il 1916 e il 1925 a Luigi Albertini, allora direttore del Corriere delle sera, chiedendo sostegno nella battaglia per vedere riconosciuti da Mussolini i propri diritti e quelli del figlio. Le lettere - pubblicate per la prima volta dalla Fondazione Corriere della Sera a cura di Lorenzo Benadusi col titolo Mussolini ha deciso di internarmi col piccino - sono «a senso unico», poiché Albertini non rispose mai (a volte lo fa, a suo nome, il fratello Alberto, o un segretario di redazione, inviando anche dei soldi) ma sono terribili, pur lasciando a volte dubbi sulla lucidità mentale della donna, nell’attaccare il «giovane» Duce, mettendo a nudo la sua brama di potere, i suoi capricci, gli abusi, l’atteggiamento sprezzante verso le donne, quello disinvolto nei confronti nella stampa e dell’opinione pubblica.
Ida Dalser in queste lettere sgrammaticate e a volte deliranti mette tutta se stessa, e tutto il suo dolore. Lancia minacce: «O il vigliacco Mussolini, abituato a vivere colle sgualdrine e coi delinquenti, mi restituisce il mio denaro o solleverò Milano». Avanza richieste: «Se per una speciale e deferente amicizia al Mussolini non vuole rendere pubbliche le sue vigliaccherie spero almeno non vorrà negare il suo aiuto al figlio suo, che giace nella più nera miseria». Arriva ad umiliarsi: «Sono disperata, poiché sono piantonata da due questurini.

Da venti mesi mi perseguitano sono ammalata così pure mio figlio – invoco il di lei intervento prima che un grave scandalo scenda a colpire non solo il padre di mio figlio – che si può chiamarlo francamente un disgraziato, ma la mia stessa creatura poiché porta il suo stesso nome. Il piccolo à fame!!! Non à letto e per salvarlo sono disposta a tutto – il dolore mi fa perdere la ragione! Mi perdoni e mi aiuti!!!». Gettando il proprio cuore di madre ogni oltre ragione e oltre la vergogna.

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