La lezione di Cesena

Il monsignore del Duomo di Cesena non la pensa come il cardinal Bertone (il quale, uomo solido e scevro di ipocrisia, ha proposto per Calderoli i lavori forzati in Cirenaica): per lui magliette e vignette sono magliette e vignette, un gioco, uno scherzo. Non come la serie impressionante di violenze che, da alcuni mesi, hanno riabilitato i fondamenti della Chiesa cristiana nel martirio: l’assassinio di don Andrea Santoro, le minacce, le aggressioni e, ieri, in Pakistan e in Indonesia la distruzione di decine di chiese. Osservavo a Cesena la compostezza e l’ordinata devozione dei fedeli nella chiesa dell’Addolorata e meditavo alla convinzione naturale della presenza di Dio nella nostra vita e come questo fosse lontano dalle urla e dalla insensata violenza dei manifestanti fanatici che incitavano all’odio e alla distruzione dei simboli cristiani. Visti al telegiornale i musulmani non sembravano difendere la loro religione ma insorgere contro un potere avverso, manifestare e protestare contro i danesi e Calderoli simboli del male. È probabile che il fanatismo religioso si manifesti come l’alibi per un diffuso odio contro gli americani. Ed è singolare che, nelle proteste, il cristianesimo e gli americani si sovrappongano. L’aggressione alle chiese e le minacce a Bush hanno lo stesso significato. Sento da ogni parte critiche a Calderoli, un coro quasi unanime di indignazione, e osservo le prese di distanza anche di chi doveva essergli vicino. Marco Follini, cattolico, dichiara: «Avete presente dove stanno le sue magliette? Ebbene noi stiamo dalla parte opposta». Soltanto un ministro danese, osservata la sproporzione della reazione rispetto alle vignette, difende la libertà di satira, di caricatura, e anche di provocazione come i più benevoli giudicano il gesto di Calderoli. Io non mi sono scandalizzato, e ho pensato che fosse per il mio carattere molto indulgente verso chi è considerato impresentabile dai titolari morali di atteggiamenti «politicamente corretti». L’archetipo di questi è Eugenio Scalfari. E quando lo leggo viene naturale stare dalla parte di Calderoli. Ma non per ragioni politiche e tanto meno per la condivisione del gesto di provocazione, che può essere giudicato imprudente, inopportuno, inadeguato a un ministro della Repubblica (e infatti l’indisciplinato si è dimesso).
Ma oggi, senza troppe considerazioni, dopo aver letto i giornali con tutti gli opinionisti indignati (perfino il sottile Ernesto Galli della Loggia che scrive il fondo del Corriere con il titolo pericoloso: «Tolleranza. Serve un limite») mi sono sentito vicino al mite e sereno parroco di Cesena: «Diciotto chiese hanno bruciato? Per una maglietta!!». Mi sono rassicurato e ho pensato ai fedeli composti nella bella chiesa dell’Addolorata e tutti quelli emozionati e pieni di fede e felicità che ho visto durante la festa di Sant’Agata a Catania. Una maggioranza silenziosa che la sente esattamente come Calderoli ma che manifesta in altro modo. Ho immaginato che i musulmani incendiassero le chiese anche da noi (non cambia il significato del loro gesto perché compiuto in Indonesia o in Pakistan) e mi sono chiesto se dovremmo essere moderati e prudenti anche di fronte a una violenza più vicina. Un sacerdote ucciso in Turchia è più lontano di uno ucciso a Forlì o a Frosinone. Ma le nostre convinzioni dovrebbero essere le stesse.

Certo a un buon cristiano è giusto chiedere fortezza, prudenza, temperanza, ma è giusto che una battuta o una caricatura debbano essere evitate e tollerati, come inevitabili, l’assassinio e la violenza? Forse è bene misurarsi con il candore, l’amarezza e lo stupore del parroco di Cesena.

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