Le lezioni di scrittura non servono a diventar scrittori

Amo la limpidezza di linguaggio del suo «Angolo», perciò le sottopongo un mio dubbio: acquistare o meno, con 4,90 euro, il DVD intitolato Io scrivo, che il Corriere presenta in grandi pagine pubblicitarie? Mi si offrono addirittura «I fondamenti della narrativa». Devo crederci? Do un’occhiata a quegli inserti reclamistici e leggo: «Nella nostra realtà quotidiana, nel lavoro, nel rapporto con le altre persone, la scrittura è la massima espressione della nostra personalità». Ebbene, la virgola dopo «le altre persone» è messa dal Corriere a casaccio (a cacchio di cane volevo scrivere: non oso). Quisquilia? D’accordo. Ma poco oltre leggo che «scrivere significa saper affrontare una pagina bianca per creare un racconto, un articolo, un’e-mail»: Perdinci, «affrontare» una pagina bianca! Come se si trattasse di uno scontro, di una lotta! Incredula mi sono riletta l’incipit di quell’annuncio pubblicitario, che recita: «Saper scrivere bene è un’esigenza irrinunciabile». Ho avuto un brivido. È o non è errore, in italiano, il troncamento prima della esse impura (sc, st, sp, z, gn, x eccetera eccetera)? Se lo è come lo è, «sapere» scrivere è un’esigenza irrinunciabile, non «saper» scrivere, specialmente se si sta offrendo un «Corso di scrittura»! Ma lei, signor Granzotto, chiuderebbe un occhio su queste bazzecole, in omaggio all’uso scorretto, ormai consacrato da più d’un minus habens? Distinti saluti.
e-mail

Accidenti che occhio, gentile lettrice. Però, scusi, il testo pubblicitario non promette agli acquirenti di conseguire una perfetta padronanza della lingua italiana con tutte le sue belle regole da rispettare. Afferma, così mi pare di capire, di aiutarli a diventare, grammatica e sintassi sono un optional, scrittori; romanzieri nella fattispecie. Che, onestamente, è un bel diventare. Io non saprei dirle se a diventar romanzieri si può imparare seguendo le lezioni di questo o di quello: o forse sì, ma allora la lezione deve essere quella di Aleksandr Puškin, sa, l’autore de La tormenta e La figlia del capitano. Lezione che si riassume in un lapidario: «Descrivi e non fare il furbo». A proposito del talento descrittivo, che c’è o non c’è, si racconta che infastidito da un giovane intenzionato, al solito, di diventare romanziere, per levarselo di torno Puškin gli mise in mano un foglio e una matita intimando: «E ora vai in quel boschetto lì di fronte, scegli un albero e descrivilo su questa carta in modo che io possa poi riconoscerlo». Ma sarà poi questo che si vuole oggi e via Dvd insegnare a un aspirante scrittore? O non piuttosto la disposizione degli ingredienti? Un po’ di sesso, un po’ di mafia, un tot di denuncia sociale, se capita una frecciatina al Berlusca, che quella non guasta mai... E intanto, studia che ti ristudia, sai quante braccia tolte all’agricoltura e al Mastrolindo. Ma tant’è, il richiamo a una professione - chi chiama più il lavoro lavoro? - “creativa” resta a tutt’oggi il più suadente, quando non imperativo. E come dar loro torto: il modello da inseguire resta Roberto Saviano che con un solo libro - uno che è uno - s’è guadagnato, beato lui, beato lui!, ricchezza, autorità, ipervisibilità mediatica, scorta armata e la distinzione di guru. Come diceva (di me) la mia maestra, non si può cavar sangue da una rapa e figuriamoci quante saranno le rape che si sottometteranno alle lezioni del corso di scrittura, ma non è detto che non ne esca un altro Saviano.

Non che se ne senta il bisogno, uno ci basta e avanza, però dopo aver letto il libro di Italo Bocchino (Una storia di destra Longanesi editore, 16 eurucci) mi son convinto che c’è davvero posto per tutti, nel villaggio delle patrie lettere. Certo che, torniamo pure a bomba, gentile lettrice, «affrontare una pagina bianca per creare» - creare! - «una e-mail», questa non l’avevo mai sentita. Nemmeno da Bocchino.
Paolo Granzotto

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