Libano, Washington e Parigi mettono alle strette Assad

Beirut e il Libano piangono il loro ultimo martire. La Siria respinge tutte le accuse sia per l’assassinio del premier Rafik Hariri, sia per la spregiudicata eliminazione del parlamentare Gibran Tueni. Ma l’indignazione internazionale e le pressioni di Stati Uniti e Francia minacciano di travolgerla. Il primo processo, anche se non ufficiale, è in corso nell’aula del Consiglio di sicurezza dove i delegati esaminano le risultanze del secondo rapporto della Commissione d’indagine sull’omicidio Hariri guidata dal giudice tedesco Detlev Mehlis. Il rapporto, oltre a indicare i nomi di 19 sospetti, in gran parte alti ufficiali o funzionari siriani e libanesi, mette sotto accusa Damasco per la mancanza di cooperazione nell’indagine. La discussione potrebbe venire seguita da una nuova risoluzione, anche se per ora non sembrano previste sanzioni.
Le pressioni statunitensi potrebbero, però, modificare gli scenari. Ieri Washington è stata risoluta nel chiedere maggiori pressioni del Consiglio di sicurezza sulla Siria. «Riteniamo sia importante mantenere e aumentare la pressione sulla Siria - ha detto il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan riaffermando tutto l’appoggio americano alle richieste del giudice Mehlis di estendere d’almeno sei mesi il mandato della commissione d’inchiesta -. Siamo seriamente preoccupati dalle informazioni contenute nel rapporto secondo cui la Siria ha ostacolato il progresso delle indagini e sviato gli investigatori, questa non può essere definita cooperazione». Sottolineando la mancata cooperazione, Washington invita il Consiglio di sicurezza a reagire all’inadempienza di Damasco. La Siria, in base ad una risoluzione votata ad ottobre dopo la presentazione del primo rapporto preliminare, è infatti tenuta alla piena cooperazione e rischia, in caso contrario, di venir sanzionata.
Francia e Stati Uniti stanno intanto cercando di convincere il giudice Mehlis a rivedere i suoi propositi d’immediate dimissioni ispirati, secondo le sue parole, dal desiderio di tornare accanto alla famiglia. Sia Parigi sia Washington vogliono convincerlo a guidare per altri sei mesi l’inchiesta fino alla compilazione di un atto d’accusa irrefutabile.
L’inviato francese all’Onu Jean Marc de la Sabliere ha nel frattempo annunciato una bozza di risoluzione in cui si chiede l’estensione di sei mesi del mandato alla commissione d’inchiesta la cui scadenza è fissata per domani. E mentre il governo libanese non rinuncia, nonostante l’uscita dall’esecutivo di cinque ministri filosiriani, alla sua richiesta di indagine internazionale anche per l’omicidio di Tueni, Damasco tenta di sminuire le risultanze del rapporto Mehlis. E per farlo scatena la stampa di regime.

«Chi pensa che la forte e solida Siria venga scossa dalle notizie di un’indagine arrangiata, piena di dettagli erronei, prove inventate e false testimonianze - scriveva ieri il quotidiano statale Tishrin - si sbaglia di grosso».

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