«Liberi» di finire in strada Un vertice per l’emergenza

Tanti lasciano gli istituti ma non sanno dove andare: ci sono malati, clandestini, anziani. Oggi summit tra Comune, istituzioni e Caritas

È stato accolto con un lungo applauso, «quasi fosse una rockstar», don Luigi Melesi, cappellano di San Vittore, che da anni si batteva per un gesto di clemenza del Parlamento. Ieri mattina è entrato in carcere per la messa, durante la quale non si è lasciato andare a nessun trionfalismo, anzi nell’omelia ha rivolto un sobrio ringraziamento a deputati e senatori. Approvato l’indulto, i problemi sono tutt’altro che finiti, anzi. Tra i circa mille detenuti che verranno liberati nei prossimi giorni, almeno un centinaio non sapranno infatti dove andare. Per questo oggi pomeriggio si svolgerà un vertice per decidere percorsi di sostegno e recupero.
Dopo il boato con cui è stata accolta l’approvazione alla Camera dell’indulto, il leggero brusio quando è passato al Senato, ieri dunque è stato il momento delle reciproche congratulazioni. Ma anche della pianificazione, per riuscire a gestire un’uscita in massa di quasi mille detenuti sui poco meno di 4.500 che affollano le carceri di Milano, Opera, Bollate e Monza. Almeno il 10 per cento infatti è ammalato o non ha famiglia, casa, lavoro. Per questo nel pomeriggio, presso il provveditorato lombardo alle carcere, si riunirà un vertice tra i direttori delle tre strutture milanesi e rappresentanti di Regione, Provincia, Comune, Caritas, Un tetto per tutti, Casa della carità e l’ufficio stranieri della questura. Tra «liberandi» infatti, circa un terzo sono stranieri, la maggior parte dei quali, appena scarcerata, dovrà essere presa in carico dalla polizia per l’accompagnamento alla frontiera.
Poi ci sono altre decine e decine di situazioni da risolvere in tempi rapidi. «Io ne ho almeno una quarantina - spiega Lucia Castellano, responsabile di Bollate - a a partire dal detenuto alcolizzato che solo tra un mese sarebbe rientrato nei termini della semilibertà. Per questo avevamo già fissato il suo ingresso in una comunità per il 18 settembre. La sua scarcerazione anticipata si tradurrebbe in un mese e mezzo da passare per la strada.

Oppure un ultrasessantenne, molto malato e senza famiglia, che non può restare un giorno senza assistenza. Ma anche un recluso di Bari che lavora per all’amministrazione penitenziaria e che perderebbe il posto appena liberato. Tutte situazioni, come si può capire, tutt’altro che facili da gestire»

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