Al «Libero» cade il muro di Berlino Vent’anni dopo, in cerca di verità

1989, anno storico: è il 9 novembre quando cade il muro di Berlino; è il giorno di Natale quando il dittatore della Romania Nicolae Ceausescu e la moglie Elena vengono giustiziati. Crollano dei presunti ideali, quelli del comunismo. Tutto viene, almeno apparentemente, stravolto. «E io c’ero, ho vissuto quell’epoca» dice Serena Sinigaglia, la regista milanese che porta in scena, fino al 13 febbraio, al Teatro Libero (via Savona 10, info: 02-8323126) «1989-Crolli», il terzo e ultimo capitolo della trilogia «Incontri con epoche straordinarie: 1943 Come un cammello in una grondaia (ovvero del coraggio); 1968 (ovvero dell’incanto); 1989 Crolli (ovvero disorientamento)». «L’idea di ripercorrere tre fasi di storia recente con altrettanti spettacoli mi è venuta nel momento in cui mi sono sentita orfana di storia recente - dice la regista -. Il passato prossimo è assente, secondo me. Io ho voluto ricostruire una coscienza storica: per parlare di ciò che è accaduto nell’89 devi sapere anche cosa è successo nel ’68 e nel ’43, per questo la trilogia». Scrivere «1989 Crolli» ha significato svolgere un importante lavoro di documentazione, che la Sinigaglia ha realizzato con validi collaboratori. Ha così unito un mosaico di scene che ripercorrono gli avvenimenti salienti di quell’anno: il Virgilio della situazione è un giovane studente italiano, «in cui mi riconosco» sottolinea la regista, che si muove tra i vari avvenimenti cercando di capire la verità. «Informati!» le aveva ordinato la sua insegnante di fronte agli interrogativi del ragazzo, «il potere tende sempre a salvarsi, gli stessi che erano a fianco del tiranno sono passati con la democrazia». Stimolato da queste parole, il giovane decide di uscire dalla sua insicurezza, dall’indecisione che deriva dall’ignoranza, dal «virus della disinformazione», che va sconfitto. Ma la verità sembra irraggiungibile, non si riesce a trovare. I media sono corrotti, e il potere stesso schiaccia l’informazione. Da una parte, oggi, l’indifferenza delle generazioni cresciute negli anni Ottanta e Novanta, che pensano solo al cellulare e alle uscite, dall’altra l’assassinio della giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa per il suo lavoro d’inchiesta sulle torture in Cecenia.

Ieri e oggi, momenti diversi che gli attori affrontano in modo mirabile: «La parola è la sola ad illuminarci. Ma la parola mi imbarazza. Credo sia un dovere: vivo una vita privilegiata, devo sbattermi per restituire dei brandelli di presente».

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