Il libico seguace di viale Jenner. "È un covo di fondamentalisti"

Il cuore di Milano nel mirino di un «kamikaze». Poteva uccidere quell’esplosivo che l’attentatore ha nascosto in una cassetta degli attrezzi. La prontezza dei militari di guardia alla Perrucchetti ha evitato il peggio, ma la città si è ritrovata sotto choc, sapendo che fra i 50mila è più immigrati musulmani si nascondeva un fanatismo folle intenzionato a uccidere. Si può immaginare la preoccupazione dei residenti di viale Jenner quando - ieri mattina - hanno saputo che l’attentatore kamikaze frequentava l’istituto culturale che ha sede in quella strada: «È sempre più sul tavolo - ha commentato il portavoce del comitato Jenner Farini, Luca Tafuni - la questione dei centri islamici e soprattutto la mancanza di conoscenza di chi frequenta questi luoghi. L’incontro previsto tra il sindaco Moratti e il ministro Maroni per discutere del tema “moschee in città” non può più essere rimandato». «Non è possibile - aggiunge il comitato dei residenti - lasciare ai cittadini che vivono nei pressi di questi magazzini trasformati in luoghi di preghiera il peso di gestire situazioni di così grande disagio e, da oggi, di profonda tensione. Il primo controllo di chi frequenta i centri islamici dovrebbe avvenire da chi questi centri li gestisce. Troppo facile dire “uno fra i tanti”: ce ne sono forse altri? Speriamo proprio di no».
I rappresentanti delle istituzioni e della politica sono intervenuti per manifestare solidarietà all’esercito, chiedendo una «stretta» sui controlli delle moschee. «I primi accertamenti - ha commentato il sindaco Letizia Moratti - ci dicono che questo attentato dovrebbe essere frutto di una azione isolata non collegata a organizzazioni. Non si esclude neppure una persona con particolari disequilibri personali». «Era stata segnalata la necessità di prendere ulteriori precauzioni - ha aggiunto la Moratti - e queste segnalazioni hanno portato per fortuna una capacità di reazione straordinaria, immediata da parte della guardia, che purtroppo è rimasta leggermente ferita». Per il presidente della Regione, Roberto Formigoni, l’attentato contro la caserma Santa Barbara di Milano è «un fatto isolato ancorché grave, che appare più opera di un esaltato che frutto di un’organizzazione». L’episodio «segnala comunque - ha sottolineato il governatore - come il pericolo del terrorismo sia tuttora presente e debba indurre tutti alla più attenta vigilanza». Allarmato il presidente della Provincia, Guido Podestà: «Un gravissimo episodio, un segnale molto preoccupante e da non sottovalutare, mentre attendiamo di capire meglio le origini del gesto».
Ma l’attentato di ieri ripropone in modo dirompente la questione del rapporto fra la città e le comunità islamiche milanesi. Ieri i centri islamici si sono dissociati ovviamente dal gesto del terrorista libico. Secondo il vicesindaco Riccardo De Corato però «è la chiara dimostrazione che la questione della moschea non ha nulla a che vedere con problemi urbanistici, ma è direttamente collegata alla sicurezza». Per questo De Corato approva la decisione del sindaco Letizia Moratti di affrontare il nodo direttamente con il ministero degli Interni, prima di autorizzare la nascita di nuovi luoghi di culto.

«Che l’ordigno alla caserma Santa Barbara l’abbia messo un habitué dello stesso ambiente - ha concluso De Corato - adombra i sospetti che sia un covo del fondamentalismo islamico. E che certi sermoni funzionino un po’ da tiraggio per qualche squilibrato».

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