Controcultura

Libri, quadri, civette, il randagio Arpino è tornato a casa sua

La vedova Catterina (con due "t") ha riempito un intero appartamento a Bra con tutto l'archivio dello scrittore: la collezione d'arte, le macchine per scrivere e faldoni di lettere inedite... Siamo andati a trovarla

Libri, quadri, civette, il randagio Arpino è tornato a casa sua

Perché è nella casa all'ombra delle colline, a Bra, nella terra delle sue origini e della sua giovinezza, che occorre venire. Per fare i conti con le persone con cui ha vissuto, i libri che ha scritto, gli eventi che hanno influenzato il suo modo di essere; e soprattutto per capire chi fosse davvero Giovanni Arpino, uomo piemontesissimo, per quanto nato a Pola, il 27 gennaio 1927 (figlio di un colonnello di stanza in Istria), e autore indimenticabile (benché oggi a fatica ristampato, e per fortuna c'è l'editore Lindau) ma finito chissà perché ai margini del canone del nostro Novecento. Proprio lui, che esordì con «un racconto lungo che ha tutta l'aria di essere un capolavoro del suo genere», come disse Eugenio Montale di La suora giovane (1959) e poi fece un en plein letterario assolutamente unico: vinse il premio Strega (per L'ombra delle colline nel 1964), il Campiello (per Randagio è l'eroe nel 1972) e il Super Campiello (per Il fratello italiano nel 1980). Rien ne va plus.

I giochi sono fatti da tempo. Giovanni Arpino è morto da trent'anni. E nato da novanta. Per il doppio anniversario, Torino - dove ha vissuto e lavorato come se avesse avuto tre vite: di scrittore, di giornalista, di dandy - forse non lo ricorderà neppure nel prossimo Salone del Libro. Mentre Bra - il luogo della maturazione intellettuale e dove trovò gli affetti di tutta la vita gli dedica un anno speciale: da qui a dicembre, l'intitolazione della Biblioteca civica, il premio letterario per ragazzi, una maratona cinematografica con la proiezione dei film tratti dai suoi libri, a partire dalle due celebri versioni di Profumo di donna, e una mostra fotografica alla Zizzola, la splendida villa ottagonale in cima al colle Monteguglielmo, diventata la casa dei braidesi, la gente di Bra.

Arpino non era propriamente un braidese. Ma qui studiò al Liceo. Qui conobbe e sposò la sua Catterina (sì, con due «t», alla piemontese). Qui passò i giorni più belli col piccolo Tommaso, suo figlio. Qui è sepolto. E qui a Bra, Catterina, che oggi ha 86 anni, con l'aiuto di Tommaso, che ne ha 61, ha dato forma o ordine al ricordo più bello del suo Arpino: un intero, ordinato, silenzioso appartamento («Io e Tommaso abitiamo in questa stessa palazzina, su piani diversi») consacrato alla memoria dell'uomo che prima fu un grandissimo scrittore, poi suo marito. «Il suo lavoro per me veniva prima di tutto. Anche di me stessa. Persino quando era famoso e stava a Milano, tornando a casa il sabato, non gli ho mai imposto di stare in famiglia. Così come agli eventi mondani non lo seguivo mai. Le mogli danno sempre fastidio. A casa no, ma in giro sì. Io avevo l'insegnamento, la casa e il figlio di cui occuparmi. Lui aveva i suoi libri, i giornali per cui scriveva, gli impegni letterari... E forse, tenendomi fuori, mi ha anche salvato da un mondo pieno di pettegolezzi e gelosie. Di tutto quello non volevo sapere niente, ma in compenso ero la prima e l'unica a leggere ogni parola che scriveva. Lui era convinto che se capivo io, che non sapevo niente, avrebbero capito tutti...».

Catterina - per mezza vita una cattedra di Scienze naturali al Liceo - è stata la sua lettrice più fedele, e non ha mai smesso. «Guardi qua, ci sono tutti i suoi libri. Spesso mi capita di prenderne in mano uno, portarmelo in camera e rileggerlo. Non mi annoio mai. Guardi quanti ce ne sono qui...».

Qui ci sono sedici romanzi, quasi duecento racconti, migliaia di articoli, poesie, libri per ragazzi, scritti d'arte... E poi ci sono gli oggetti di una vita, i mobili della casa storica di Torino, le sue collezioni: i quadri, i libri, le macchine per scrivere. E soprattutto gufi e civette, suoi personalissimi animali protettori, in tutte le forme, dimensioni e materiali: vetro, legno, ceramica, onice... Molte sono chiuse in una grande vetrinetta d'epoca. Ma occhieggiano anche da un grande disegno, a fare la guardia sulla parete d'ingresso... La prima civetta gliela regalò Enzo Bearzot, il «Vecio» di Azzurro tenebra, durante i mondiali in Argentina del '78, che Arpino seguì come inviato della Stampa.

Ecco la prima stanza, quella della stampa. In un armadio a muro tutti gli originali dattiloscritti dei pezzi che mandava ai giornali: il Mondo di Pannunzio negli anni '50, Epoca e L'Europeo nei '60, poi il Giorno, la rivista Il Racconto, la Stampa di Torino, quotidiano per cui scriverà di cronaca, costume, cultura e sport, e poi dal 1979 il Giornale, dove lo chiamò Montanelli e dove curava lo splendido inserto Lettere ed arti: «Indro voleva a ogni costo che scrivesse per lui, e lo portò via da Torino. Di Giovanni una volta Montanelli disse: Un'ora con lui era un bagno d'osservazioni, ricordi, aneddoti, confessioni, sembrava che ti avesse spiattellato su un tavolo tutto se stesso... Lo faceva lavorare tantissimo, divennero amicissimi. Forse troppo. A Milano si vedevano anche di sera, andavano a divertirsi. E quando mio marito si ammalò, voleva che andasse a vivere nel suo stesso residence. E invece io me lo sono portata a casa. E lui continuò a scrivere, dettando a me i pezzi». Eccole lì, tutte le sue Olivetti, in fila, perfette. Tic tac tic tac...

Tic tac tic tac... Ecco un'altra stanza. Quella dell'arte. «Giovanni scriveva moltissimo sui pittori. Recensioni, presentazioni di mostre, cataloghi... Ogni articolo che scriveva, un quadro regalato». Sono qui, alle pareti. Tutti artisti piemontesi, i più importanti della storia dell'arte del secondo Novecento: Fico, Tabusso, Soffiantino, Saroni, Aime, Calandri... Ma c'è anche Guttuso. Ci sono le caricature di Franco Bruna. Ci sono tante opere di Italo Cremona che firmò gli acquerelli per Domingo il favoloso, uscito a puntate sulla Domenica del Corriere tra il '73 e il '74, col titolo Correva l'anno felice...

Gli anni più felici della famiglia Arpino furono quelli a Torino, dalla metà degli anni '50 alla morte di Giovanni, per un tumore alla gola, a 60 anni, il 10 dicembre 1987. «Fumava talmente tanto... Erano gli anni in cui nei film non c'era un attore che non avesse la sigaretta in bocca, cosa vuole... Chissà se è stato quello, poi...». Di quegli anni Catterina ha tenuto tutto, anche la camera da letto. Eccola, con dentro le cose più personali. Le sue carte private, le lettere (inedite) a editori e scrittori, in un cassettone i documenti: passaporti, tesserini, le agendine degli appunti. Alle pareti un grande ritratto di Ennio Onnis e le foto di famiglia più belle, quelle delle estati a Cap d'Antibes, quelle dei viaggi a Londra e Parigi, e una, un bianco e nero, bellissima: lui in piedi, tribuna stampa del Comunale, sigaretta, sguardo lontano e la testa già dentro il pezzo.

Appena fuori, dall'altra parte del corridoio, la stanza dei libri. Da un parte, la grande biblioteca personale di Arpino, quella con tutti i libri che aveva ai tempi dell'Einaudi - «Giovanni iniziò a lavorare nell'ufficio vendite rateali della casa editrice, poi divenne responsabile dell'ufficio vendite» - dall'altra, un mobile antico a vetrine con tutti i libri scritti da Arpino, a partire dalle prime edizioni alle nuove ristampe e le traduzioni straniere. «I suoi romanzi sono usciti in 50 lingue». Su un grande tavolo e in giro, invece, tutti i libri su Arpino: studi critici, monografie, i tre grossi tomi della Storia dei Gettoni di Elio Vittorini pubblicata da Aragno («Nei Gettoni uscì, nel 1952, il suo primo romanzo, Sei stato felice, Giovanni: Vittorini se ne innamorò»), l'opera omnia in cinque volumi stampata da Rusconi, primi anni '90 («Un'operazione gigantesca, che aiutò a tenere in circolazione il nome di Giovanni dopo la morte, prima che iniziasse un certo oblio editoriale. L'ha curata Giorgio Barberi Squarotti, ma la cronologia l'ho ricostruita tutta io...»), e poi antologie, opuscoli, manifesti... Tutto rigorosamente archiviato, catalogato, ordinato. «L'esatto opposto di lui. Giovanni era un uomo fuori dalle regole, uno che viveva senza scarpe, sa cosa intendo? Uno a cui piaceva la libertà. Da giovane viveva di notte, nei cinema, nei caffè, a giocare a carte e biliardo. E poi, quando diventò grande, in tutti i sensi, acuì il suo carattere difficile. Quando scriveva si isolava, non esisteva per nessuno. Sopportava solo me. Alla fine ero l'unica persona con la quale andava d'accordo. Sempre».

E se non è da tutti gli scrittori vincere sia lo Strega sia il Campiello, ancora meno è vivere tutta la vita con la stessa donna. «Se a un uomo lasci la sua libertà, poi torna sempre da te». Dopo, puoi anche dedicargli una casa museo.

Dài, Giovanni.

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