Presentare edizioni commentate di autori moderni e contemporanei significa elevarli al rango di classici. E quando sia in causa un poeta come Clemente Rebora è innegabile che loperazione va elogiata: i suoi Frammenti lirici (1913) rimangono tra i maggiori titoli di quel clima febbrile e insieme razionale, specchio di una passione che non deroga tuttavia allimpegno di parlare ai lettori, che caratterizza lepoca della Voce e delle avanguardie poi definite «storiche». Rebora, milanese, si colloca accanto al ligure Sbarbaro, al toscano e cosmopolita Campana, all«affricano» ed europeo Ungaretti, il quale combatterà nella Grande Guerra: come Sbarbaro, come Rebora e tanti altri.
Ma i Frammenti lirici, fin dalla dedica inaugurale, «ai primi dieci anni del secolo ventesimo», dichiarano la loro appartenenza allanteguerra, nel senso che per ora la tempesta si agita dentro, è un mobilitare energie e fantasie che si dispiegano - e non è detto si risolvano - alla ricerca di un ordine e di un ritmo omologhi il più possibile a quelli della «egual vita diversa», sulla cui urgenza si apre il primo dei 72 «frammenti». Oggi ledizione commentata di questopera esce presso Interlinea di Novara (pagg. 860, euro 36) a cura di Gianni Mussini e di Matteo Giancotti, con la collaborazione di Matteo Munaretto. Lavoro monumentale: le note, oltre a spiegare Rebora con Rebora - attingendo ai suoi epistolari e alla produzione saggistica -, appoggiano alla folta bibliografia della critica.
Al fronte, nel dicembre del 15, lo scoppio di una bomba a pochi passi da Rebora gli provocò un trauma: ne seguirono penosi ricoveri e infine il congedo. Mentre fu in armi, scrisse prose liriche belle e ardue, ma non le riunì mai in un libro. E del resto, dopo la guerra, egli non licenziò che i brevi Canti anonimi (1922), dove il lettore fatica a trovare il bandolo di una o di parecchie matasse aggrovigliate. Qualcuno vi coglie già i segni della conversione: dal mazzinianesimo umanitario paterno alla fede cristiana e cattolica, che Rebora alle soglie del 1930 abbracciò, facendosi più tardi prete rosminiano.
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