I l nostro Leviatano, la nostra Balena Bianca è la «fera» di Stefano DArrigo, lorcaferone, il delfino orripilante, lHorcynus Orca. Per arpionarla DArrigo ha impiegato più di un ventennio, finché non ha inscatolato la bestia nel romanzo bestiale pubblicato nel 1975 da Mondadori. Horcynus Orca è una pietra miliare della letteratura recente del Belpaese, il regionalismo ferino di D'Arrigo collima con le concezioni plastiche di Thomas Pynchon (il cui capolavoro, Larcobaleno della gravità, è pubblicato due anni prima di Horcynus Orca). La bestia penetra il romanzo, che diventa animalesco, la vera orca è quella della lingua, bastarda e religiosa, che DArrigo, vero e proprio scrittore-Achab, rincorre per tutto il libro per un bel mucchio di anni.
DArrigo, dicendolo con parole della moda critica, è autore di un unico, immane, incommensurabile libro. In realtà non è così: eppure lOrca si divora il libro precedente (la raccolta poetica Codice siciliano, edita da Scheiwiller nel 1957) e quello successivo (il romanzo spregiudicato Cima delle nobildonne, del 1985), figuriamoci cosa può interessarci degli esercizi letterari giovanili. Le Prose inedite di DArrigo, pubblicate in anteprima dalle Edizioni di Via del Vento (www.viadelvento.it; pagg. 36, euro 4), in attesa dellOpera omnia targata Rizzoli e curata da Walter Pedullà che squadernerà tutti gli scheletri negli armadi e i manoscritti nei cassetti, ci servono semmai, visto che sotto il profilo letterario sono acide e acerbe, per recuperare la faccenda biografica del geniale cacciatore dellOrca. D'Arrigo si laurea allUniversità di Messina nel 1942, con una tesi su Friedrich Hölderlin; in quegli anni comincia sporadiche collaborazioni letterarie sui quotidiani locali.
Quasi tutta roba che potete evitare di leggere, tranne il racconto che dà il nome al libretto, Il licantropo, pubblicato l8 ottobre del 1946 su La Tribuna del Popolo. Incipit fenomenale («Dapprincipio ci fu estremamente difficile rassegnarci allidea che un lupo delirasse in gola al nostro amico, che la luna potesse sortire tali straordinari e terribili effetti su di lui»), atmosfera che più che rimandare al connazionale Pirandello (che resta comunque la prima pietra e quella di paragone), flirta con le cupe brume del Romanticismo tedesco (approfondito allUniversità, come detto): dal cilindro, semmai, possiamo cavare il nome nobile e austero di Tommaso Landolfi, che nel 1939 pubblica La pietra lunare, romanzo pieno di «lunari orrori» e di uomini per metà bestie.
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