e di Amedeo Ronteuroli*
Non è tecnicamente una valigia, bensì un baule, di quelli utilizzati normalmente per le cabine di bordo, quello in cui, negli ultimi giorni di un caldo giugno del 1925, viene ritrovato, in una camera daffitto di Salita Pollaiuoli, il cadavere di una giovane donna, seminudo e chiazzato di sangue, compresso e forzato dentro langusto contenitore.
Il cadavere, non immediatamente identificato, appartiene ad una donna ancora piuttosto giovane, e mostra un taglio profondo alla gola, che ha causato la morte, allinterno del quale vengono ritrovati un pezzo di lama di rasoio ed un pezzo della dentiera della morta. La polizia inizia le indagini in due direzioni: da una parte per identificare la vittima e dallaltra per ritrovare lultimo inquilino della stanza in cui il baule è stato ritrovato. Questi risulta essere Antonio Gregori, un trentenne di Piacenza che lavora a Genova da qualche anno come agente di una società che vende macchine da scrivere. Le ricerche durano una decina di giorni, poi finalmente luomo viene catturato a Milano dopo un movimentato inseguimento, a seguito del suo disperato tentativo di fuga.
Nel frattempo anche laltra pista è stata chiusa: due donne residenti in via Goito si sono presentate in Questura per segnalare la scomparsa di una propria vicina, la trentenne Valeria Bruno, che in questo periodo, tra laltro, vive sola, poiché il marito è in viaggio per motivi di lavoro. A seguito di questa notizia vengono disposti gli opportuni accertamenti e tre persone riconoscono che effettivamente il cadavere di salita Pollaioli appartiene alla scomparsa di via Goito, più sulla base di segni identificativi sul corpo e di elementi di abbigliamento che sulla base delle caratteristiche del volto, ormai quasi irriconoscibile.
Il Gregori, una volta catturato, ammette quasi subito la propria responsabilità. Racconta di una vita disordinata e di una passione travolgente per una giovane donna, Giorgia Cina, alla quale ha sacrificato la carriera, arrivando al punto di impegnare le macchine da scrivere avute in deposito dalla Ditta per procurarsi denaro da spendere, tanto che attualmente la Società ha deciso di chiudere la filiale di Genova, lasciando a lui solo il compito di provvedere agli atti necessari. Racconta del vizio della droga: è cocainomane. Racconta dellincontro con la Bruno, anche lei cocainomane e conosciuta attraverso Franz, un comune amico. Racconta infine che nel corso di unorgia consumata con la donna è stata preso da un raptus e le ha tagliato la gola con un rasoio.
Nulla di interessante da aggiungere. La buona notizia è che in questo caso lassassino viene regolarmente condannato.
Sette anni dopo, nel 1932, un altro delitto della valigia ha la Liguria come scenario per una parte del proprio svolgimento. Il 21 novembre di quellanno, su segnalazione del brigadiere Di Camillo - un sottufficiale di pubblica sicurezza in viaggio per licenza premio, il quale si è accorto che un altro viaggiatore è sceso dal treno dimenticando due valigie - queste vengono recuperate dagli addetti ferroviari dalla stazione di Napoli. Durante il trasporto allufficio oggetti smarriti, uno dei due colli si apre. Gli astanti riconoscono con raccapriccio, nel contenuto, un corpo umano tagliato a pezzi. Il giorno dopo, al deposito bagagli di Roma, viene trovata una terza valigia, contenente le parti mancanti.
La testimonianza del Di Camillo, quella di Giuseppe Pescatori, Capo-Assistente della stazione di La Spezia e quella di Giacomo Salvati, controllore che poco dopo la partenza da La Spezia aveva ottenuto dal viaggiatore che trasportava le valigie il pagamento della multa/supplemento per eccesso di bagaglio, servono a costruire un identikit piuttosto approssimativo: un uomo corpulento con una voce sottile e... laspetto di un macellaio. Che potesse trattarsi di un macellaio fu unipotesi nata a seguito del ritrovamento, a La Spezia, in mezzo ad un mucchio di spazzatura, di un coltellaccio macchiato di sangue, che risultò essere umano. Essendone stato individuato il venditore, questi confermò le caratteristiche fisiche descritte dagli altri testimoni, aggiungendo che la persona in questione «aveva laspetto del macellaio».
Per le strane e micidiali regole della comunicazione umana, questa notizia non solo trapelò, ma fu causa di diversi problemi per non poche persone, una delle quali si trovò addirittura a trascorrere alcuni giorni in prigione, con laccusa di aver eliminato la moglie, mentre invece questa si era trasferita a Livorno, dove esercitava la libera professione in una casa chiusa, con il nome darte di Poppea. Anche un attore, poi divenuto noto soprattutto per la singolare omonimia con Alessandro Manzoni, fu inquisito in rapporto a questo crimine, ma ne fu accertata lassoluta estraneità ai fatti. Tra gli indagati, infine, anche il britannico Joseph Cotter, direttore generale della International Marble & Co., in trasferta in Italia per trattare lacquisto di marmo di Carrara. Il suddito della perfida Albione (i tempi erano quelli...) meritò le attenzioni della polizia in quanto tra i materiali utilizzati dallassassino per confezionare i resti del cadavere vi era anche un giornale inglese: The Liverpool Echo. Ovviamente Cotter risultò subito assolutamente estraneo alla vicenda.
La soluzione del caso venne attraverso una conoscente della vittima: Olga Melgardi, residente a Roma, essendosi resa conto che La Spezia era stata il punto di snodo di una vicenda criminale sviluppatasi su altri luoghi del territorio nazionale, si recò in questura a denunciare, insieme a Gino Gorietti, la scomparsa della cugina di questultimo: Paolina Gorietti. E non si limitò alla denuncia della scomparsa. Raccontò anche di una storia damore tra la Gorietti e un certo Cesare Serviatti, cinquantenne, maresciallo in pensione, che Paolina, di origine umbra ed ultimamente cameriera presso una famiglia romana, aveva conosciuto attraverso uninserzione sul giornale. Costui, secondo quanto la stessa Paolina aveva raccontato allamica, laveva convinta dellopportunità di trasferirsi a La Spezia, per trascorrervi insieme una vita ritirata e tranquilla gestendo una pensione. L8 dicembre, effettuata la denuncia, i due vengono portati alla morgue, dove riconoscono il cadavere. A questo punto, lindiziato numero uno diventa Cesare Serviatti.
La polizia lo trova a casa sua, a Roma, in via Principe Amedeo. Sta pranzando con la moglie, Angela Taborri, e lamante, Barberina Baldelli, entrambe conviventi sotto lo stesso tetto con lui. Sulle prime cade dalle nuvole e nega tutto, poi, dopo qualche giorno di stringente interrogatorio, alla mezzanotte dell11 dicembre confessa. Naturalmente la prima versione è reticente. Luomo spiega che la sua vittima, avendo finalmente realizzato che il matrimonio a lungo sognato non poteva aver luogo, perché Serviatti era già sposato, si era rivoltata contro di lui. Vuol far credere di aver ucciso per errore, con un calcio alladdome, ma lautopsia lo inchioda: la morte è avvenuta per strangolamento durante il sonno.
Resosi conto di non avere vie di scampo, si arrenderà a condizione, chiedendo ed ottenendo di poter consumare un pranzo comme il faut prima di rilasciare una confessione totale, ivi compresa la spiegazione di un modus operandi a prima vista poco comprensibile: per quale motivo ha distribuito le tre valigie su due treni diversi, invece di disfarsene in un modo meno evidente? La risposta scopre un inatteso lato di emotività che emerge sotto limmagine dello spietato assassino: nel momento in cui gli è stata levata contravvenzione per il sovrappeso delle valigie, il Serviatti è stato preso dal panico, temendo di essere riconosciuto. Così ha rinunciato alloriginale progetto di giungere fino a Pisa per liberarsi del bagaglio gettandolo in Arno ed è sceso dal treno, abbandonandovi due valigie e caricando poi la terza su un altro convoglio.
È opportuno a questo punto tracciare una sintetica storia di Serviatti: anche questa piacerebbe a Lombroso... Figlio di genitori ignoti, allevato da una coppia di contadini di Subiaco, ha praticato diversi mestieri, tra cui quelli di macellaio (appunto...) e di infermiere. Afferma di discendere da una famiglia nobile e si fa chiamare «il Conte». Al momento dellarresto ha 53 anni. Malgrado un fisico sgraziato e modi rozzi, ha una discreta fortuna con laltro sesso, e ha avuto diverse storie con donne, quasi sempre di umile condizione, conosciute attraverso gli annunci sui giornali, nei quali si presenta come un ex militare con una buona pensione. Anche la Baldelli lo ha incontrato in questo modo, ed è proprio attraverso questa che ha conosciuto la moglie Angela Taborri. La convivenza con le due donne ed in genere la dinamica dei rapporti fra i tre evidenzia il peculiare assetto psicologico delluomo, confermato dalla presenza nella sua vita di unaltra donna: Angela Morsiani, che lo aveva conosciuto qualche anno prima delle nozze celebrate con la Taborri. Costei, che ebbe nel tempo ruoli di amante ma anche di cameriera di Serviatti, e che per un certo periodo fu anche spacciata da questo come la propria madre, essendo sopravvissuta alla pericolosa relazione e finita nei suoi ultimi anni nellOspedale dei cronici di La Spezia, rifiutò sempre di testimoniare contro il padrone/figlio/amante, malgrado dovesse certamente sapere qualcosa degli avvenimenti occorsi nella pensione Roma, di cui si parla più sotto.
Anche in questo caso, infatti, la storia non si conclude semplicemente con la confessione dellassassino. Il Commissario Musco, che ha occasione di occuparsi dellaffare Serviatti, ha già avuto per le mani una situazione analoga: pochi anni prima, nel 1930, infatti, sono state svolte inutilmente ricerche per risalire al nome dellassassino di Bice Margarucci, i cui miseri resti sono rimasti impigliati nelle reti dei pescatori di Ostia e della vicina Santa Marinella. Con un trucco (finto riconoscimento da parte d i una pseudo testimone precedentemente istruita), Musco induce il Serviatti a confessare: con lo stesso sistema dellannuncio sul giornale ha rimorchiato la Margarucci (anche lei cameriera in una famiglia romana). Anche questa, come Paolina Gorietti, ha creduto nella grande storia damore e gli ha consegnato tutti i suoi risparmi. A differenza di Paolina, tuttavia, non ha avuto il tempo di disilludersi: luomo lha strangolata nel sonno o, come sembra di capire, nel corso di un rapporto sessuale. I tre sacchi contenenti i resti della poveretta, scaricati nel Tevere, finiranno poi nelle reti dei pescatori dei lidi romani.
Latteggiamento del prigioniero, il suo modus operandi sistematico, inducono gli inquirenti ad approfondire ulteriormente la sua storia ed a sottoporre ad attenta verifica gli ambienti in cui si è mosso. Nel pozzo nero di uno stabile sito in La Spezia, via Genova 11, dove tra il 1925 e il 1928 Serviatti aveva gestito la pensione «Roma», vengono ritrovati i resti di altre persone. Alla domanda su quante altre donne avesse ammazzato, il criminale rispose che le sue vittime erano cinque, ma si rifiutò di farne i nomi. Successivamente ammise, sulla base degli elementi raccolti nel corso delle indagini, che una di queste era la livornese Pasqua Bartolini, conosciuta come le altre e come le altre depredata e deprezzata.
Il 7 luglio 1933, i giudici pronunciarono nei confronti di Cesare Serviatti una sentenza di piena colpevolezza e gli comminarono la pena di morte. Il 13 ottobre dello stesso anno la condanna venne eseguita nel poligono di tiro di Chiara Vecchia, a Sarzana, attraverso fucilazione. La salva del plotone scoperchiò il cranio del condannato, presumibilmente con qualche dispiacere per uno dei legali di parte civile, Giuseppe Caradonna (che non per niente aveva partecipato alla marcia su Roma), il quale aveva chiesto che la testa del condannato venisse consegnata alle famiglie delle vittime, forse per una primitiva forma di risarcimento o forse, più modernamente, perché - come sostengono alcuni - un museo di criminologia americano era interessato a comprarla a buon prezzo.
Lultimo episodio da raccontare, connotato anche questo da una gelida ferocia serviattiana, risale alla fine del 1945. La guerra è appena finita, lItalia è a pezzi. È il 24 novembre, un pomeriggio freddo e buio. Alla stazione di Chiavari una donna robusta, dallapparente età di quarantanni, che indossa un pesante cappotto verde scuro, chiede informazioni per raggiungere La Spezia. Le rispondono che, a causa dei bombardamenti che hanno preceduto la fine delle ostilità, il ponte sullEntella è inutilizzabile: i treni per il Levante partono da Lavagna. La donna guarda le due valigie che ha con sé e borbotta poche parole. È stanca. Si rivolge ai due addetti al deposito bagagli, cui affida il proprio carico. Tornerà a prenderlo appena possibile.
A quasi un mese di distanza, le due valigie sono ancora in deposito. Emanano un puzzo nauseabondo. I custodi decidono che è il caso di aprirle, ma si fermano dopo aver visto il contenuto della prima: gli arti e la testa di una donna. Quando la polizia aprirà la seconda, troverà il resto del cadavere, anchesso in stato di avanzata putrefazione. I facchini della stazione ricordano benissimo chi ha effettuato il deposito: evidentemente lassassina, non avendo potuto attuare un diverso piano concepito per liberarsi del cadavere, a causa dellinterruzione della linea ferroviaria, ha dovuto ripiegare su una soluzione inventata sul momento...
Il lavoro di ricerca della Questura di Genova è lungo e difficile. Si confrontano i pochi elementi disponibili, un orecchio, lincavo di un occhio, la forma della bocca, la statura particolarmente ridotta, con i dati segnaletici e le foto delle persone che risultano scomparse di recente.
Tra le possibili coincidenze individuate, vi è quella di una certa Italia Vannini, vedova, che risulta residente in via Rivale 3. Ad un sopralluogo presso labitazione, si scopre che nella stessa casa abita, come affittuaria, una bruna di una quarantina danni e robusta. Si chiama Celeste Genova, vulgo Linda; nativa di La Spezia, è già schedata a causa di precedenti penali e frequentazioni malavitose. I questurini la puntano.
Sulle prime, la donna risponde tranquillamente: la Giannina - questo il nomignolo con cui è conosciuta Italia Vannini - è partita il 29 novembre per Ventimiglia. Se ne ricorda bene perché il giorno dopo avrebbe dovuto pagare laffitto, e non ha potuto. Lei invece, la Linda, nellultimo periodo non si è mai mossa di casa. Si viene a sapere invece che il 24 la donna si sarebbe recata a Lavagna, in visita a parenti.
Viene messa a confronto con gli addetti al deposito bagagli di Chiavari, che la riconoscono. Di fronte allevidenza, si scopre con alcune ammissioni. La deposizione, peraltro, è abbastanza incoerente. Il movente risulterebbe, in primo luogo, il denaro dellaffitto, ma forse anche una lite in rapporto alla non irreprensibile vita condotta dalla «gelida Linda», come i giornali avranno a chiamarla. Anche in rapporto ad eventuali complicità non si riesce a fare chiarezza. Una delle poche cose certe è che il trasporto delle due valigie da Genova a Chiavari, altrimenti di difficilissima realizzazione, dati i tempi che correvano, è stato effettuato con laiuto di un autista della Croce Rossa di San Martino, il quale però risulta ignorare il contenuto dei colli: Celeste gli ha raccontato che stava trasportando olio per dei parenti (scusa poco credibile: portare olio da Genova a Chiavari e Lavagna è come portare vasi a Samo... e infatti un altro dei passeggeri dellambulanza nega, forse anche per evitare sanzioni per il mercato nero, e parla di un trasporto di sete, complicando ulteriormente le cose).
La stessa ammissione della responsabilità dellomicidio non avvenne in modo completamente soddisfacente. In un primo tempo la Genova ammise solo di aver tentato di liberarsi del cadavere, attribuendo lassassinio, avvenuto per motivi di gelosia, ad un certo Silvio, detto «il Siciliano», uno sfregiato con cui effettivamente era stata vista ballare in locali equivoci. Stanca degli interrogatori, però, finì per ammettere di aver strangolato la Vannini. Altro non fu dato sapere, in particolare se la «gelida Linda» avesse potuto avere un complice (protagonista o meno) nellomicidio, come effettivamente farebbe supporre il fatto che il cadavere, per essere sezionato, molto probabilmente dovette essere trasportato in locali diversi dallabitazione di via Rivale, dove non fu trovata alcuna traccia di sangue. Ciò posto, mentre la Genova aveva un fisico adeguato per macellare la vittima, non era certamente in grado di trasportarla da sola fuori da casa...
Celeste, malgrado le sollecitazioni del suo stesso avvocato difensore, non volle aggiungere altro. Fu riconosciuta colpevole di omicidio doloso aggravato e vilipendio di cadavere aggravato. Fu condannata a trentanni di reclusione.
* esperti del centro studi Criminalistica Genova
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