In prima linea nella lotta ai «tarocchi»

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Non è un caso che a Milano si dichiari una più serrata lotta ai falsi d’industria, a quei prodotti abilmente imitati che con il marchio taroccato «made in Italy» invadono i nostri mercati. Merce fatta in Cina o in altri Paesi da poco approdati all’espansione industriale e che, nella piratesca assenza di regole, riproducono una Manchester quasi metafisica di sfruttamenti e d’imbrogli. Non è un caso perché nella metropoli si snodano i circuiti illegali, dove più intensi sono gli scambi. Dove dovrebbero provarci, i falsari? Ed è anche logico che la lotta alla pirateria economica parta da qui.
La Lombardia che produce è fra le aree più colpite dall’intraprendenza, diciamo così, della concorrenza gialla. Abbiamo difficoltà nelle esportazioni e in più ci beffano in casa, insidiandoci con la frode il mercato interno. La Cina è vicina, dicono, ed è inutile invocare dazi antistorici, sollecitare protezionismi che vadano oltre le consuetudini accettate degli scambi internazionali. Più logico colpire i concorrenti troppo spregiudicati imponendogli di rispettare le regole, di abbandonare la pirateria e, all’occorrenza, sequestrare tutta la produzione taroccata e fuorilegge. Allontanando, inoltre, dalle strade la corporazione degli abusivi, commercianti senza oneri e senza buona fede, che si sono insediati nei luoghi più frequentati, con singolare sfacciataggine.
Ma è evidente che non si può colpire la nuova pirateria – produttori, grossisti e dettaglianti di articoli taroccati – senza cercare di colpire anche i loro clienti, complici necessari. È sperabile che nessuno mugugni contro la legge che consente di infliggere multe salati agli acquirenti di prodotti contraffatti.

Se le meritano tutte, questi cinesi d’elezione. Invocano magari misure draconiane contro la concorrenza straniera, poi fanno i loro affarucci, fingendo d’ignorare che con ogni acquisto illegale mettono in pericolo il posto di lavoro del figlio o del cugino.

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