
Il reggimento parte all'alba. Dino Buzzati scelse questa metafora militare per indicare il proprio atteggiamento virile di fronte alla morte, la propria idea di servizio, come milizia, nei confronti della vita. All'alba di ieri è partito il reggimento di Giuseppe Del Ninno, classe 1947, perfetta incarnazione di quello spirito nobile in cui l'ethos e la pietas concorrono a disegnare un tipo umano lontano da ogni volgarità e da ogni cupidigia.
Figura di spicco della cultura non conformista, che a partire dagli anni Settanta contribuì a rinnovare, dando vita a quel movimento metapolitico denominato Nuova Destra e su cui oggi si scrivono tesi di laurea, Giuseppe Del Ninno si impose fin dal suo primo apparire come un elemento di stimolo quanto di raccordo, privo com'era di qualsiasi vanagloria, scevro com'era da qualsiasi idea di meschino tornaconto. Ciò era reso possibile da una cultura tanto vasta quanto solida, che spaziava dal cinema al teatro (fu tra i fondatori di una delle riviste di spettacolo e comunicazione più innovative del loro tempo, Machina), dalla storia nazionale ( il suo Risorgimento e controrivoluzione resta un testo esemplare sulla necessità di un'Italia unita, indipendentemente dagli errori di percorso commessi) al mondo della tradizione (fu traduttore di René Guénon e di Nicolas Flamel), senza per questo disdegnare di ridisegnare i confini della destra e della sinistra alla ricerca di un loro superamento e insieme di una nuova e originale sintesi.
Non c'è convegno dell'epoca, dove si confrontavano figure eterodosse come Massimo Cacciari, Giovanni Tassani, Ernesto Galli della Loggia, Giampiero Mughini, Marco Tarchi Alexander Langer, Giano Accame, in cui Del Ninno non fosse presente, con interventi in cui il rigore dell'analisi si combinava con l'eleganza della parola e la passione civile.
Se mi è concessa una prima digressione personale, a questa riconosciuto status intellettuale bisogna aggiungere un qualcosa che era del tutto assente a chi scrive, poco più che ventenne all'epoca, e a gran parte dei suoi coetanei animatori di quel tentativo di svecchiamento della classica dicotomia destra/sinistra: nell'insieme, una variopinta quanto disordinata pattuglia di disoccupati intellettuali e di precari sentimentali, ai loro primi passi insomma nelle professioni come nelle relazioni.
Del Ninno, di pochissimi anni più grande, era già marito, di una splendida moglie, Patrizia, era già padre, di tre splendidi bambini, Massimiliano, Priscilla, Alessandro, aveva già una casa, un lavoro, uno stipendio Ciò gli dava una solidità e una conoscenza della vita a noi sconosciuta, nonché un'autorevolezza da noi riconosciuta, un modello a cui rifarsi, nell'educazione familiare come nella vita di coppia o nelle relazioni interpersonali. Non era facile essere alla sua altezza, ma è comunque un motivo d'orgoglio l'averci provato.
Amico di Alain de Benoist (è sua l'introduzione a Visto da destra, l'opera enciclopedica che lo fece conoscere in Italia, nonché la prefazione di L'esilio interiore, il suo ultimo breviario esistenziale), così come di Michel Marmin, il critico cinematografico di Le Figaro che fu il prefatore del suo Ecce Alien, uscito nel 1982 per Settecolori, prima esemplare messa a punto dei rapporti fra cinema e Mito e primo di una serie di titoli dedicati alle Settima arte (A schermo spento, Pantheon, 2006, Piombo, sogni e celluloide, Oaks, 2018). Di cinema ha scritto anche per le pagine de Il Giornale. Non va poi dimenticata una felice vena memorialistica, poetica e narrativa mai abbandonata: La vita quotidiana a Napoli negli anni Cinquanta è del 1992, ancora per Settecolori, la raccolta poetica I luoghi rappresi, Arion, è del 2003, La guerra addosso e La vedova nera, sono usciti per Oaks e per Bietti in questi ultimi due anni. Nei confronti dei suoi libri, aveva lo stesso atteggiamento di Jean Cau, altro autore a lui caro: li scriveva per passione e per sfida dello scrivere, li dava agli editori per generosità e come gesto di amicizia. Scriveva per l'onore.
Una seconda e ultima digressione personale. Con Giuseppe Del Ninno se ne va una parte, la più bella e la più importante, della mia vita, quella in cui si era sospesi, come mi scrisse una volta, «in una leggenda d'euforia», compagni di «un lungo viaggio negli anni delle nostre antiche illusioni e indignazioni».
Con Luciana Baldrighi, con Gennaro e Stefania Malgieri, ci si incontrava con Giuseppe e Patrizia, con i loro figli e poi con i loro nipoti fra Roma e Parigi per una cena o un convegno, nella sua , anzi, nella loro Ischia per una vacanza. Del Ninno era uno stile, era una voce, era una concezione solare della vita.