
Altri novanta minuti senza un coro, senza una bandiera a sventolare, col resto del Meazza a cercare di rimediare in qualche modo, tenendo alto il morale della squadra: ma non è la stessa cosa.
Domenica sera a San Siro, Inter-Sassuolo: in scena è andata di nuovo la protesta degli ultras, impegnati in un braccio di ferro con la società di cui non si vedono gli sbocchi. La rabbia muta della Curva Nord per le misure prese dall'Inter in seguito all'inchiesta che ha spedito in carcere buona parte del suo direttivo, non accenna ad esaurirsi. Ma nemmeno l'Inter ha alcuna intenzione di fare un passo indietro, anche perché a dettare la linea dura alla società sono la Procura della Repubblica e la Digos che hanno imposto al presidente Beppe Marotta e ai suoi collaboratori la "tolleranza zero" nei confronti dell'attuale leadership della Curva. Di fatto, i vertici nerazzurri si trovano - per usare una loro espressione - "tra l'incudine e il martello", stretti tra le imposizioni della Procura e la protesta degli ultras. Tra i due, l'Inter sceglierà sempre di schierarsi con la Procura che già, in un recente passato, l'ha accusata di essere stata troppo accondiscendente con i boss della Curva: ed è un sospetto con cui in viale della Liberazione non vogliono tornare a fare i conti.
Muro contro muro, dunque, almeno fino a quando - come pare stia già accadendo - all'interno della Curva non si apra qualche crepa in grado di mettere in crisi la leadership degli irriducibili. È vero che da Christian Chivu, alla vigilia della partita con l'Udinese, era venuta una frase ("i giocatori hanno bisogno di una curva che li sostenga") che gli ultras hanno interpretato come un tentativo di dialogo. Peccato che a scegliere la strategia non sia il mister e che né Marotta, né Max Catanese - il chef of staff dell'Inter che segue per il club direttamente l'intera vicenda - vogliano e possano scendere a patti.
Il tema dello scontro con la Curva è duplice. Il primo è economico: il taglio delle tessere di abbonamento che gli ultras rivendevano a prezzo maggiorato e, soprattutto, il blocco del merchandising. Agli ultras non viene più permesso di introdurre i loro gadget all'interno dello stadio e agli ambulanti esterni al Meazza (il cui numero è già stato ridotto) è stata data una indicazione chiara: se vendete anche il materiale della Curva vi togliamo il permesso. Sono misure, anch'esse dettate dalla Procura, che hanno tagliato le gambe al direttivo della Nord.
Poi c'è il secondo fronte, quello dove l'Inter punta a tenere fuori dal Meazza la parte di ultras più direttamente collegata allo stato maggiore finito in carcere ("e ricordiamoci che si parla di due omicidi maturati proprio in Curva", dicono all'Inter). A scegliere chi lasciare fuori sono stati direttamente il pm Paolo Storari e i suoi colleghi, fornendo al club due elenchi: una black list con una trentina di nomi, da escludere totalmente dal Meazza; e una lista "grigia", con settanta ultras meno compromessi con la deriva criminale, ma considerati comunque a rischio. A questi è stato rifiutato l'abbonamento al secondo anello verde, il covo della Curva, consentendogli di abbonarsi al terzo anello. Circa la metà degli inseriti in "zona grigia" ha scelto questa strada.
Di fatto, il braccio di ferro tra Inter e Curva ruota intorno alla sorte di una trentina di persone sulle 7.500 che fino all'anno scorso avevano la tessera del "secondo verde".
Ha senso, per proteggere una esigua minoranza, continuare in questo braccio di ferro? È questo il dubbio che l'Inter vuole instillare nel popolo della Nord. Cui in questi giorni viene mandato dal club un messaggio preciso: mettetevi in pace con voi stessi, noi indietro non torniamo. Anche perché più fate la voce grossa e più la Procura e la Digos ci dicono di non mollare.