L'irrequieto Pordenone insegna la buona Maniera

Nella sua pittura debordante come vento di tempesta si avverte l'aria nuova del XVI secolo

L'irrequieto Pordenone insegna la buona Maniera

Tra i grandi pittori italiani del Rinascimento, nonostante l'evidenza del suo magistero non viene immediato ricordare Giovanni Antonio de' Sacchis detto il Pordenone, personalità complessa e curiosa che inaugura il secolo nuovo, da primo attore, a fianco di Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo e Lorenzo Lotto. Le sue date sono le stesse dei grandi maestri veneziani che ho ricordato, tutti nati entro l'ultimo quarto del secolo XV, tra 1478 e 1483, per trovarsi pronti ai loro esordi, alla apertura del secolo XVI che essi inaugurano. Ma lo stesso si può dire per Michelangelo e Raffaello, esordienti nelle loro giovinezze folgoranti, a cavallo di due secoli. I grandi veneziani identificano un mondo contrapposto a quello di Michelangelo e Raffaello.

Il Pordenone si muove di concerto, negli anni della sua formazione, con Giorgione, come ci indica convincentemente il Vasari. Più tardi il Ridolfi suggerirà, per vicinanza territoriale, una relazione formativa con il Pellegrino da San Daniele, pittore di variegata cultura. Lo misuriamo, ai suoi esordi, nel trittico di Valeriano e poi negli affreschi del cori di Vacile e in quelli di Villanova di Pordenone, fino alla pala di Vallenoncello. Ma non basterebbero queste opere, e neppure un capolavoro come la pala di Susegana, con il meraviglioso effetto di una architettura in rovina, a commemorare il mondo classico, per giustificare la lode incondizionata del Vasari: «il più raro e celebre (...) nell'invenzione delle storie, nel disegno, nella bravura, nella pratica de' colori, nel lavoro a fresco, nella velocità, nel rilievo grande et in ogni altra cosa delle nostre arti».

Una considerazione molto alta, che si spiega con il primo avvertimento delle grandi imprese romane di Michelangelo nella volta della cappella Sistina e di Raffaello nelle Stanze vaticane, che deriva da un precoce viaggio a Roma fra 1514 e 1515, e lo porta a essere un ponte ideale fra i due mondi, ben prima della conversione manieristica di Tiziano. La sua presenza in Umbria, con un potente affresco nella chiesa di Alviano, vicino a Terni, ci offre la certezza del suo viaggio di studio a Roma, dopo gli anni veneziani e gli esercizi friulani. Una sua predisposizione al monumentalismo, in dialogo con il Tiziano degli affreschi del Fondaco dei tedeschi a Venezia, è già negli affreschi con i santi Rocco ed Erasmo su un pilastro del duomo di Pordenone. La sua pittura è irrequieta, debordante e, se il viaggio romano cade negli anni che abbiamo indicato, un segnale è già nella potente pala, compositivamente libera dagli schemi veneziani, della Madonna della misericordia del 1515, nel duomo di Pordenone; e, in modo più esplicito, nella Trasfigurazione del 1516, ora alla Pinacoteca di Brera a Milano. Già in quest'opera si vede un'attenzione privilegiata per un curioso e non allineato pendolare tra Venezia e Roma, Lorenzo Lotto, autore di un'altra eloquente Trasfigurazione, a Jesi. La contaminazione con il mondo romano appare evidente nelle opere di quegli anni, tra il 1515 e il 1520: San Prosdocimo e San Pietro a Raleigh, nel North Carolina Museum of Art, e il Ritratto di musico del Kunsthistorisches di Vienna.

Nel 1519 dialoga direttamente con Tiziano nella cappella dell'Annunziata nella cattedrale di Treviso. La sua esperienza veneta si compie nella Madonna con il bambino fra i santi Ilario, Graziano, Antonio Abate, Giovanni Battista della parrocchiale di Torre di Pordenone e negli affreschi con le storie di Ercole dipinti nella propria casa. Ma la potenza del Pordenone si esprime nelle sue grandi imprese fuori dal Friuli. Ed è formidabile il suo tempismo su tutto quello che arriva da Roma, dopo le travolgenti aperture raffaellesche della pala di San Sisto a Piacenza e della pala di santa Cecilia a Bologna, tra 1513 e 1515. Gli artisti emiliani vengono travolti, e il nuovo linguaggio si consolida in pochi anni, fino all'arrivo di Giulio Romano a Mantova, nel 1524, per il cantiere di palazzo Te. In questo mondo padano si insinua Pordenone, dipingendo nel 1521 la potente e drammatica Crocefissione nella controfacciata del Duomo di Cremona e la potentissima Deposizione. Un grande teatro impagina Pordenone su quelle pareti armoniosamente cadenzate dai casti e luminosi affreschi di Boccaccio Boccaccino e di Altobello Melone. Arriva Pordenone, ed è un vento di tempesta, un urlo delle forme che squarcia il silenzio di quegli spazi perfettamente equilibrati.

Tutto questo avviene mentre nella valle padana si aprono ovunque fuochi di rivoluzioni formali: a Ferrara Garofalo e Dosso Dossi; a Brescia Romanino, Savoldo e Moretto (che sconvolge il nuovo ordine raffaellesco nel suo Cristo dolente sotto la croce o Cristo e l'angelo); a Parma Correggio, fratello spirituale di Pordenone nel tradurre Raffaello e Michelangelo in lingua padana, fin dagli affreschi della cupola di San Giovanni evangelista a Parma. Siamo nel pieno degli anni Venti e già, precocissimo, si muove nella stessa chiesa Parmigianino, che, nel 1524, concepirà il suo primo capolavoro nella Rocca di Fontanellato, su commissione di Galeazzo Sanvitale, il cui ritratto è uno dei vertici della pittura del Rinascimento. Il Pordenone è lì, regista sensibilissimo e magniloquente, ormai in un concerto con tutti i grandi pittori che si muovono tra Parma, Mantova e Brescia, con un capolavoro struggente e drammatico come la Deposizione di Cristo per la chiesa di Cortemaggiore (1529).

Pittore vagante e maestro riconosciuto, Pordenone continuerà la sua invasione padana con i grandiosi affreschi per il presbitero e la cupola della basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza. Tornato in patria, lo troviamo nel Duomo di San Daniele del Friuli con una Trinità, a Udine nel chiostro della chiesa di Santo Stefano, a Venezia nella grandiosa pala del beato Lorenzo Giustiniani, e a Murano nella Annunciazione di Santa Maria degli Angeli. Fu anche a Genova e a Ferrara dove morì.

Ma alla fine la domanda è: perché non ha avuto il successo che avrebbe meritato, precursore assoluto del Manierismo nel Veneto e in Padania? La risposta è nel nome e nella storia incrociata con Tiziano. Tiziano Vecellio, nato nel 1480, è il vero rivale del Pordenone, ed è la principale ragione per la quale Pordenone è stato sottovalutato. Il confronto tra i due aveva animato la scena artistica veneziana, e il Pordenone dimostrò di saper combattere. Tuttavia la notorietà di Tiziano cresceva irresistibilmente. Da qui cominciò il declino: Tiziano otteneva committenze, vinceva concorsi e riscuoteva sempre più credito, mentre il Pordenone restava attivo fuori Venezia. Uno di questi concorsi Tiziano lo vinse proprio contro il Pordenone, nel 1528, quando vennero chiamati entrambi per un'opera nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Vinse Tiziano, che dipinse la Pala di san Pietro martire, destinata a essere distrutta in un incendio. Fu una delusione per il Pordenone, che intanto lavorava per gli Estensi. Proprio durante un viaggio a Ferrara, nel 1539, per gli arazzi voluti da Ercole II d'Este, il Pordenone morì in circostanze misteriose.

Ora la città

di Pordenone celebra il suo pittore con una mostra che aprirà in ottobre, dove lo vedremo in dialogo stretto con tutti i maestri che abbiamo ricordato, e ai quali ha dato più di quanto non abbia avuto. Primus inter pares.

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