L'Italia da scoprire

Amelia, Gallese, Nepi: la Via Amerina nel cuore dell'Italia profonda

È un percorso nella storia, compiuto sulle rotte dei Romani attraversate da San Francesco. Scopriamo le sue perle

L'avanzata delle foreste ai margini dell'antica Via Amerina a Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo
L'avanzata delle foreste ai margini dell'antica Via Amerina a Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo

Esistono parti d'Italia in cui il tempo rallenta. Scrigni silenziosi e discreti che conservano, nella loro riservatezza, la più profonda identità del Paese. L'Italia dei borghi antichi non è, come vogliono i cultori di vecchi miti strapaesani, una periferia in antitesi al centro. Piuttosto, è essa stessa centro. Centro ideale, centro umano, centro storico. Camminando al confine tra Umbria e Lazio sui sentieri dell'antica Via Amerina ci si riesce a rendere conto di questa realtà.

Amelia, Gallese, Nepi, ma anche Orte, Falerii Novi: la via che si snoda sull'antica strada costruita nel 241 a.C. per connettere Roma a Perugia, quasi completamente percorribile a piedi, conduce attraverso la profonda ricchezza del nostro Paese, nel suo cuore più intimo e identitario: percorrendolo dall'Umbria verso l'Urbe si arriva, infine, al Parco di Veio ove giacciono le rovine della prima città che, distrutta nel 396 a.C., segnò l'apertura di Roma all'espansione italica. Ma si cammina anche attraverso la strada percorsa, più volte, da San Francesco d'Assisi nelle sue peregrinazioni per mediare con la Chiesa del XIII secolo la sua profonda visione spirituale del mondo. Roma, madre d'Italia, e Francesco, patrono d'Italia, in un viaggio che dall'antichità al Medioevo conduce fino ai giorni nostri: la Via Amerina è un viaggio nella storia, e proprio al Poverello d'Assisi deve la sua rinascita. Grazie alla “Fondazione per il Cammino della Luce – Itinerario della Via Romea, del Corridoio Bizantino e della Via Amerina”, costituita nel 2005 con sede in Amelia, è oggi possibile percorrere a piedi, come gli antichi pellegrini, questa via carica di storia e di ricordi.

Si passa per la cittadina che dal suo nome latino, Ameria, dà il nome alla via, Amelia. Borgo che appare compatto nel suo arroccarsi tra colli immersi in vallate arse dal sole estivo e soggette alle gelate invernali. Cittadina nella sua fragilità al centro della storia. Alla discesa dei Longobardi in Italia nel 568 Amelia si trovò contesa tra il Ducato di Spoleto (longobardo) e l'Impero Bizantino, dato che la via Amerina in Umbria era rimasta la via di collegamento principale del Corridoio Bizantino, l'unico percorso che consentiva il collegamento tra Roma, sede del potere spirituale, e Ravenna, sede del governo bizantino in Italia. Nel Medioevo fu perno del triangolo ghibellino e filoimperiale umbro con Terni e Todi. Più antica di Roma, dall'alto della Valle del Tevere è dominata dalla cattedrale di Santa Fermina, prossima al millennio di storia, che accoglie nell’anticappella due trofei di guerra, stendardi che si ritengono essere stati sotratti ai turchi durante la famosa Battaglia di Lepanto nel 1571, alla quale i marinai di questa città nel cuore degli Appennini parteciparono nella "guerra mondiale a pezzi" del XVI secolo tra cristiani e turchi.

Duomo di Amelia
Il Duomo di Amelia domina la cittadina al centro della Via Amerina

Piccola e sorprendete è Gallese. Un centro etereo nella sua apparente fragilità, uno dei borghi che in tutto l'Appennino, dall'Emilia alla Calabria, resistano con ostinazione cocciuta al passare del tempo, si presentano contro ogni logica solidi dal Medioevo alla globalizzazione. Gallese è la terra dei viandanti, soprattutto il luogo di San Famiano, pellegrino tedesco che raggiunse nel 1150 la cittadina laziale per morirvi dopo essersi ritirato a vita eremitica. L'identificazione tra Gallese e Famiano ricorda quella, più nota, tra Bobbio e San Colombano: è un'identificazione che sulle rotte della Via Amerina ha a che fare col rito del passaggio, del pellegrinaggio umano. Mete trasformate in centri dal valore di chi si è messo in viaggio: le orme dei santi sono esse stesse il senso che valorizza un cammino come quello della Via Amerina. Gallese è vitale, le sue osterie si riempiono di profumi sul far delle sere d'estate, nella totale assenza del traffico per le sue strade i bambini giocano a calcio per strada, sicuri e privi di preoccupazioni. Se ne è invece andata da tempo la ceramica, garanzia di reddito nei decenni passati. E tra spirito di comunità e precarietà Gallese continua a voler resistere.

San Famiano a Gallese
Monumento a San Famiano all'ingresso di Gallese

Un'altra perla della Via Amerina è Nepi, la città delle fonti. Raggiungendola si è già arrivati alla Tuscia laziale, oggi provincia di Viterbo. L'ex "Claustra Etruriae" ricordata da Tito Livio come alleata di Roma ai tempi delle guerre contro gli Etruschi oggi è una città antica che, con fierezza, sfoggia le sue bellezze. Non solo architettoniche: significativa è la presenza nella cucina locale, segno delle microstorie che popolano ogni posto, dell'acquacotta, tipico piatto dei pastori degli Appennini, ma che qui ritroviamo per via della transumanza, che annualmente faceva transitare proprio per Nepi queste genti. Cuore del dominio della famiglia Farnese ai tempi dei Papi, Nepi grazie a questo ruolo presenta ambiziose architetture religiose e civili. Dall'alto del suo sperone di tufo, su cui sorge la città, la cinta muraria la pare proteggere dagli eccessi della modernità e custodirla alla curiosità dei viandanti che vi si avvicinano. All'ombra delle mura, vicino a cui sgorga la Cascata dei Cavaterra frutto di due forre sotterranee legate alle sorgenti dell'omonima acqua, pescano placidi gli anziani, abitatori di più lungo termine di terre in cui la vera sfida sarà, nei prossimi decenni, sociale e demografica.

Nepi
Pescatore all'ombra delle mura di Nepi

C'è molto passato e molta storia sulle rotte della Via Amerina. Ma c'è anche la realtà di un presente che per resistere si aggrappa alla tradizione, alla sua valorizzazione, alla speranza che gli occhi del mondo cadano su queste terre, così introverse, portando gli italiani (e non solo) a conoscerle e a ascoltare quello che, nella gentilezza e nella cordialità della gente del luogo, non appare come tale, ma che sotto sotto è un grido di aiuto. Ogni sospiro sconsolato di chi, incontrato viandante, sottolinea che "siamo rimasti in pochi qui" o presagisce spopolamenti e abbandoni è un campanello d'allarme per invitare istituzioni, collettività, individui a preservare il futuro della Via Amerina e dei suoi borghi.

Trincea di rifugio dal più duro caos del mondo moderno, terra di intima riflessione e placida introversione in un contesto globale in cui la riflessione e la meraviglia appaiono sempre più svalorizzati come fattori caratterizzanti dell'umano.

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