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I roccoli, un tesoro del passato da scoprire e valorizzare

Monumenti arborei che dominano le valli, i roccoli sono stati costruiti in origine per la caccia. Oggi hanno però cambiato funzione e vengono utilizzati per l'osservazione e lo studio degli uccelli. VisitBrembo ce li racconta

I roccoli, un tesoro del passato da valorizzare

I roccoli collocati solitamente in posizione panoramica, spiccano per rarità e unicità di forme e vengono guardati con stupore. Eppure solo pochi ne conoscono l’origine e la finalità. La loro bellezza un tempo era solo funzionale, poiché la forma del manufatto e la disposizione degli arbusti avevano uno scopo preciso. Allo stesso modo la loro funzione - la cattura degli uccelli - è oggi per molti associata alla caccia come hobby crudele e anti-ecologico, mentre un tempo era una pratica basilare per procacciarsi il cibo. Se aggiungiamo che nella loro storia più recente sono serviti alla cattura a scopo ornitologico, ecco che pian piano questi monumenti arborei appaiono meno ostili. E si può sostituire al termine caccia quello più nobile di ars venandi. VisitBrembo ci racconta la loro storia e le curiosità.

L'architettura dei roccoli

Di solito i roccoli hanno un filare di carpini che costituisce il corridoio (sigalér) d’ingresso. Le piante, distanziate di circa 1,50 m e in altezza (circa 4 m), si uniscono creando una vera e propria volta. La struttura serve a camuffare le reti poste in verticale: le pareti creano infatti dei giochi di luce che attirano gli uccelli in fuga, i quali restano appunto impigliati alle reti (in gergo "si insaccano"). Vicino al corridoio si trova la buttata, a ferro di cavallo o circolare (tònd), costituita da alberi di 5/6 metri quali ciliegi, betulle, faggi o roveri su cui gli uccelli tendono a “buttarsi” attratti dai richiami vivi o dalle bacche del boschetto sottostante (come il sorbo degli uccellatori o il torminale, la fitolacca, il biancospino o il sambuco). Al centro della buttata sorge il casello (casèl), in muratura o legno, coperto da piante rampicanti per camuffarlo nella vegetazione.

Come avviene la cattura degli uccelli

Qui, all’ultimo piano, si apposta il roccolatore, vigile nell’intervenire quando gli uccelli restano nelle reti e pronto a lanciare lo spauracchio, lo zimbello o a suonare gli zufoli. Lo spauracchio (sboradùr) è un manico in legno di circa 50 cm con una testa tonda in vimini che ricorda l’arrivo di un rapace in picchiata e spaventa gli uccelli, oppure è un cavo metallico con appese latte e stracci che assolve la medesima funzione. Stesso discorso per lo zimbello (sàmbel): un uccello da richiamo legato a uno spago che viene mosso dall’uccellatore per lusingare le prede. Infine i richiami o fischietti (sifulì) sono appunto zufoli di varie forme in legno che riproducono il canto di molti volatili. Tutti questi arnesi trovano ricovero al pian terreno del casello dove si trovano anche le gabbie in legno, con fondo in fil di ferro, contenenti gli uccelli da richiamo (merli, tordi o stornelli) che vengono poi appese alle piante o lasciate sul terreno. Infine un ruolo da protagonista nella cattura è giocato dalle reti (rét o récc al plurale) e dalle armature (armadüre) ovvero un filo resistente su cui s’infila la rete a tremaglio per poi appenderla. Molti di questi arnesi sono esposti presso il Museo della Valle di Zogno.

Roccoli strumenti

Prima dell’avvento delle armi, le tecniche di cattura delle bestie erano frutto di attenta conoscenza e osservazione della natura e quindi di abilità e inventiva. Ecco perché la caccia era così importante nella vita e nei costumi di un passato non così tanto remoto. La selvaggina di grossa taglia è sempre stata prerogativa della nobiltà, mentre i volatili meglio si prestavano alla cattura per fini alimentari del popolo.

L'origine del nome e la loro diffusione

I roccoli rientrano nelle strutture per l’uccellagione, ovvero la cattura dei volatili. I roccoli erano diffusi nel Nord Italia, soprattutto in montagna e in collina, dove venivano posti in posizioni strategiche di osservazione e di passo migratorio delle prede. L’origine del termine roccolo non ha una chiara etimologia ma si suppone derivi dal latino rotolu, diminutivo di rota, in quanto la loro forma cilindrica richiama quella della ruota, oppure da rocca (nel gallico roc) in riferimento alla sommità sulla quale si ergevano.

È del 1970 la legge che ammette l’uccellagione solo a fini di studio o amatoriali e del 1972 quella che dichiara la fauna selvatica patrimonio dello Stato. Con la fondazione dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) e di Euring (la banca dati europea per lo studio ornitologico) alcuni roccoli, gestiti da personale qualificato, fungono ancora oggi da osservatori di studio e ricerca. Tutt’oggi è sempre l’INFS a formare e autorizzare gli operatori specializzati per i punti di cattura finalizzati all’osservazione ornitologica. Con la Legge Regionale 26/93 sono stati introdotti dei contributi a tutela del recupero dei roccoli e nel 2000 la Convenzione del Paesaggio dell’Unione Europea ha nobilitato il patrimonio ambientale, dunque anche quello antropizzato, caricandolo di valore anche culturale e sociale. Nella frazione di Miragolo San Marco, in un importante valico a sella per i flussi migratori primaverili e autunnali, a circa 1.000 m., sorge la Stazione Ornitologica La Passata, centro di inanellamento a scopo scientifico autorizzato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente).

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A spasso tra i roccoli attorno a Zogno

La Via dei Roccoli è la testimonianza di un momento storico, culturale ed economico vitale per le contrade zognesi. Un percorso che aiuta a scoprire un territorio ricco di tesori da valorizzare. I manufatti antichi, le invenzioni o le tradizioni assumono significati diversi, se non addirittura contrastanti, proprio in base alla distanza spazio-temporale dalla quale vengono osservati.

I roccoli, ad esempio, nel momento in cui furono concepiti, servivano a nutrirsi e a sopravvivere ma oggi sono una bellezza architettonica vegetale da scoprire e rivalutare.

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