Lite da 8 milioni di euro: la Rai non firma l’accordo

Il dg Cappon chiede al Comune tagli del 30 per cento e l’abolizione del Dopofestival. Bonolis per ora bloccato. Tra le ipotesi anche "un anno sabbatico" senza la gara di canzoni all'Ariston

Lite da 8 milioni di euro: la Rai non firma l’accordo

Milano - Insomma siamo daccapo. Tra la Rai e il Comune di Sanremo non c’è accordo e quindi il benedetto Festival della canzone rimane ancora appeso a un filo. Per intenderci: tutto è bloccato, compreso l’annuncio ufficiale del nuovo presentatore Paolo Bonolis, che infatti freme assai. Comunque spieghiamoci. Per rinnovare la convenzione che (come sempre) regola la manifestazione, la Rai e la giunta del sindaco Claudio Borea avevano iniziato a trattare in modo informale all’inizio di luglio e l’accordo sembrava dietro l’angolo. Poi però le parti si sono ritrovate molto lontane e sono iniziate le sciabolate reciproche. In sostanza, il Comune chiede un accordo quinquennale per una cifra compresa tra gli 8,3 e gli 8,8 milioni di euro indicizzati, oltre a una serie di corollari come i 100 spot per la promozione della città e i 50 per il lancio di Sanremolab e ancora la fissazione delle date della messa in onda del Festival fino al 2013. La Rai invece replica con la volontà di ridurre notevolmente i costi (si dice del trenta per cento) e di cancellare il Dopofestival. Perché? Perché non piace a Bonolis e, secondo il direttore di Raiuno Del Noce, allungherebbe troppo i tempi televisivi dell’evento. Però lo show del dopo gara è ritenuto intoccabile dall’amministrazione comunale e dalla direzione del Casino che lo ospita da decenni (era Chiambretti esclusa) e quindi vai con il braccio di ferro.

In poche parole, distanza apparentemente abissale.

Per riassumere, il direttore generale della Rai Claudio Cappon ha scritto indispettito a Borea spiegando che «l’inatteso e mutato atteggiamento di chiusura» del Comune potrebbe «pregiudicare seriamente la tempistica d’avvio della fase realizzativa del prossimo Festival». Tradotta in soldoni, la lettera starebbe a dire: o accettate le nostre condizioni oppure il Festival rischia di fare la fine del Festivalbar e prendersi un anno sabbatico. L’altro giorno, il 28, il sindaco ha risposto, sempre via lettera, manifestando «l’intendimento di collaborare fattivamente» e sollecitando «un incontro urgente».

Schermaglie inevitabili.

In ogni caso, l’accordo dovrebbe raggiungersi entro pochi giorni in modo da sottoporre al pericolante cda Rai una bozza di convenzione prima che scatti inesorabile la pausa estiva (6 agosto) e i tempi si allunghino a dismisura. D’altronde, anche se il Festival va in scena alla fine di febbraio, è un evento che richiede mesi di preparazione e, quantomeno, una certezza amministrativa e burocratica di cui ora non c’è manco l’ombra. Quindi è tutto bloccato e il primo a risentirne è Paolo Bonolis, il presentatore in pectore che si ritrova nell’inatteso limbo di chi sa che cosa dovrebbe fare ma letteralmente non può. E così, a cascata, il nascituro Festival inciampa già nelle polemiche di chi non vedeva l’ora di farle, come Raffaella Carrà che, dopo averne confezionato uno nel 2001 deludente per ascolti, qualche settimana fa ha detto alla Stampa che la soluzione migliore per salvare il Festival sarebbe di cancellarlo. E anche tribune del web come Tvblog.it prendono al volo l’occasione per lanciare sondaggi sull’eutanasia di questo rito che, volenti o nolenti, accompagna gli italiani da mezzo secolo e ha subìto soltanto le flessioni di share che ormai intaccano tutta la tv generalista. D’accordo, qualcuno dice che da Sanremo non escano più cantanti capaci di vendere tanti dischi ma forse dimentica che, tanto per fare due esempi, i Negramaro o gli Zero Assoluto hanno avuto proprio l’Ariston come trampolino decisivo.

Insomma, il solito caravanserraglio di polemiche che testimonia quanto un evento sia ancora vivo o quantomeno vitale. Altrimenti tutti se ne starebbero zitti e dall’Ariston le telecamere se ne andrebbero via in silenzio.

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