Lite sulla riforma delle pensioni I Comunisti: «Non se ne parla»

Fabrizio Ravoni

da Roma

A muso duro sulle pensioni. Romano Prodi non fa sconti. «Ho preso impegni chiari con Almunia e la comunità internazionale, e intendo rispettarli», dice il presidente del Consiglio a Villa Pamphili trasformata per l’occasione nel prato della Casa Bianca. Pochi minuti prima, Oliviero Diliberto, in una «pausa sigaretta» del vertice, aveva detto: «Prodi si è impegnato con Almunia per una riforma delle pensioni? Per quanto mi riguarda, dormo sogni sereni anche senza pensare ad Almunia. Di riforma delle pensioni non-se-ne-parla».
Palazzo Chigi conosce la posizione dei Comunisti italiani e di Rifondazione comunista. Sa perfettamente la contrarietà dei due partiti ad ogni intervento in materia pensionistica. Durante il vertice Prodi ha sentito Giordano sottolineare «l’esistenza di un’ipoteca della Confindustria sulle pensioni, una volta approvata la Finanziaria». Così, a livello ufficiale punta di prendere tempo: «un accordo alla volta», sottolinea il portavoce della Presidenza del Consiglio, Silvio Sircana. In realtà Prodi conta di superare le loro contrarietà, stringendo un «patto d’acciaio» con i sindacati. Con Cgil, Cisl e Uil ha sottoscritto un protocollo che prevede l’inizio di una trattativa a gennaio «con obbiettivi e cammino condivisi», precisa il premier. Sullo sfondo una strategia sperimentata. «In fin dei conti - è il ragionamento che viene dagli uomini del Professore - sulle pensioni si tratta di fare la stessa operazione fatta con la finanziaria: se raggiungiamo l’accordo con i sindacati, la sinistra estrema segue».
Un ragionamento che Diliberto sembra immaginare. «Ricordo ai signori-della-riforma-delle-pensioni che in Parlamento non votano i sindacati. Votano i deputati; e, soprattutto, i senatori». E per rincarare la dose, Manuela Palermi, capogruppo dei Comunisti a Palazzo Madama, precisa: «Per quel che ci riguarda, il negoziato sulle pensioni non si deve aprire per nulla. L’unica cosa da fare è un decreto legge che elimina lo scalone previdenziale del 2008 e basta. Per coprirlo si può ridurre il regalo del cuneo fiscale alle imprese».
Prodi non li ascolta e va dritto per la sua strada per rispettare gli impegni con la commissione europea, unica agenzia di rating che riconosce (ed anche l’unica che ha promosso sub judice la sua politica economica). Così, nella conferenza stampa rilancia le indicazioni del Dpef, sia nei contenuti tecnici, sia in quelli politici. «Il Dpef è la nostra fase due», sottolinea il premier. Nel documento è prevista la riforma delle pensioni, della sanità, della pubblica amministrazione, dei trasferiumenti agli enti locali. Tant’è che Paolo Ferrero, ministro di Prc della Solidarietà sociale, non lo ha votato.
Il Dpef è stato scritto da Tommaso Padoa-Schioppa. In un’intervista recente, Diliberto ha confessato di non avere molta simpatia per il ministro dell’Economia. «Non mi sono simpatici i tecnocrati». Padoa-Schioppa gli risponde piccato durante il vertice: «So benissimo che non sono stato eletto. Sono stato chiamato dalle forze politiche. E le forze politiche mi possono sempre chiedere di farmi da parte». Completato il siparietto, il ministro veste i panni del muratore per spiegare le modifiche apportabili alla Finanziaria. «Io ho pensato ai muri maestri, gli stucchi fateli voi...».
Per «stucchi» e «muri maestri» il ministro intende, rispettivamente, emendamenti alla manovra e saldi di finanza pubblica. I primi non devono modificare i secondi. E per mettere a punto gli emendamenti alla Finanziaria Prodi crea una sorta di cabina di regia a Palazzo Chigi.

«Ora inizia un faticoso lavoro di coordinamento», osserva il premier. Martedì la prima riunione. Sul tavolo, tanto per cambiare, la riforma Irpef. Per Giordano, al netto delle detrazioni, «scontenta tutti». Soprattutto i redditi più bassi.

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