Issate un tricolore nelle stanze del Congresso e
della Casa Bianca. Questa è Washington, Italia. Questa è Roma in
trasferta dall’altra parte dell’Atlantico: liti, attacchi, sgambetti,
strategie, ideologie, ipocrisie. Sul debito degli Stati Uniti si
combatte una guerra che sembra nostra. Democratici e repubblicani
come centrosinistra e centrodestra oggi. Mediazioni? Interesse del Paese? Maggioranza e opposizione si scannano sulla politica
economica, trattano per cercare un accordo sul debito e poi
finiscono le riunioni sbattendo i pugni sui tavoli, escono dalle
stanze minacciandosi e insultandosi. Obama usa toni apocalittici:
invoca l’Armageddon, dice che non sa se il 3 agosto riuscirà a pagare
le pensioni, né la sanità, né tutto il resto. L’esasperazione del
dibattito politico di queste ore è familiare a noi come mai lo è stata
in questi ultimi anni.
Qualche giorno fa Harry Reid, capogruppo
democratico al Senato, ha attaccato il repubblicano Eric Cantor come
un qualunque Antonio Di Pietro farebbe da noi: «È infantile, non
dovrebbe neanche sedersi al tavolo delle trattative ».Capito?La
polemica personale scavalca quella politica. Così Cantor, secondo
alcune ricostruzioni, avrebbe replicato a Reid definendolo un
«vecchio bacucco».
È come una di quelle liti da Porta a porta , solo che stanno avvenendo nelle stanze chiuse del Congresso americano, dove si tratta a oltranza per provare a evitare un default che sarebbe storico e catastrofico allo stesso tempo. Anche Obama partecipa alla tragicommedia: mercoledì scorso ha minacciato i repubblicani, salvo poi presentarsi di fronte alla stampa come moderato e preoccupato per il bene del Paese. Il che potrebbe essere vero, esattamente come potrebbe essere vero che preoccupati siano i repubblicani. D’altronde il crac degli Usa è una prospettiva agghiacciante per la Casa Bianca e per i suoi rivali.
Eppure c’è qualcos’altro che avvicina Washington all’Italia. È la sensazione, praticamente certa, che dietro la durezza delle trattative ci sia un interesse molto elettorale e poco patriottico. C’è che le presidenziali arrivano tra poco più di un anno. Obama è già candidato per i democratici: resta favorito e non di poco,ma la situazione dell’economia americana e delle casse federali rischia di fargli fare una figuraccia che lo danneggerebbe seriamente in vista delle elezioni. Vuole l’accordo: vuole rinunciare a una parte delle garanzie del welfare che tanto gli stavano a cuore pochi mesi fa, per trovare l’intesa sul debito. Dall’altra parte i repubblicani sono praticamente nelle stesse condizioni: per salvare il Paese dal default dovranno accettare l’aumento della pressione fiscale, che per la storia, la tradizione e la cultura politica della destra Usa è come se salisse l’Inferno sulla Terra. Il motivo anche qui non è altro che elettorale: se non si trova l’accordo con Casa Bianca e democratici, i repubblicani sanno che la colpa del crac Usa sarebbe addebitata a loro.
La stampa liberal lo ripete da giorni, in fondo: i repubblicani stanno mettendo a rischio il futuro degli Stati Uniti. Senza accordo, quindi, i conservatori si troverebbero con televisioni, giornali e siti web contro, mettendo seriamente a repentaglio le potenziali chance di vittoria di un repubblicano alle presidenziali dell’anno prossimo. La situazione ricorda molto le miserie del resto del mondo e soprattutto le nostre. D’altronde,come da noi, l’opposizione ha un problema in più: non solo non trova l’accordo col presidente, ma litiga anche al suo interno.
Perché tra moderati e oltranzisti è guerra aperta: pochi giorni fa, il leader repubblicano al Senato, Mitch Mc-Connell, ha provato a proporre un piano d’emergenza che consenta alla Casa Bianca di alzare da sola e senza l’intervento del Congresso la soglia dell’indebitamente Usa: Obama era d’accordo,i democratici pure, alcuni repubblicani anche. Un’altra metà della destra,invece, era contraria. Fallita la proposta, quindi. Fallita allora e forse anche nei prossimi giorni, visto che Obama ora pensa che non sia più una buona idea. Ha capito che la responsabilità di un eventuale aumento del debito sarebbe tutta sua. Si tratta ancora. Tutti contro tutti, per ora. Col presidente che ha minacciato: se non troviamo l’accordo potrei porre il veto a tutti i provvedimenti del Congresso da qui alla fine del suo mandato. Ricorda niente?
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