Finire in ospedale per una lite in strada. E restare invalidi per la ferocia di due ragazzi, poco più che maggiorenni. «L'episodio è di una ferocia vacua e insieme disarmante. I fatti sono avvinti da una assoluta insensatezza e parossistica violenza. Essi vanno inseriti in una serie consistente di ulteriori episodi ancora in corso di indagine per i quali sono attualmente indagati i ragazzi del gruppo e gli stessi imputati. Una serie di ulteriori episodi di aggressioni violente e gratuite della medesima natura». Lo scrivono i giudici della sesta sezione penale nelle motivazioni della sentenza con cui hanno condannato Michele Manieri e Antonino Penna a 15 anni di carcere per aver picchiato, fino a renderlo invalido al cento per cento, un pedone che aveva protestato per una manovra azzardata commessa da due bulli del quartiere Corvetto in motorino. Definendo l'episodio avvenuto il 9 settembre 2006, tre giorni dopo che il gruppo aveva già mandato in ospedale la vittima dopo una prima, violenta reazione, i giudici parlano di un'aggressione «spropositata nella sua paradossale e immotivata ferocia, insensata nella sua progressione ritorsiva eppur priva di qualsivoglia perché, nasce all'interno del gruppo dei ragazzi, dall'esigenza di riaffermarne il dominio sul territorio della zona Corvetto». «L'incursione punitiva esplosa il 9 settembre sorge da quanto accaduto tre giorni prima, il 6 settembre», ricostruiscono i giudici. Renzo A., 54 anni, «era uscito quella sera passeggiando per strada, per recarsi nei pressi a trovare la sorella. Transitava tranquillamente sul marciapiede, a piedi. Alcuni ragazzi del gruppo facevano i pazzi in quel momento con i motorini sul marciapiede». Quando è stato quasi investito da uno di loro, il 54enne «si è scostato, e li ha richiamati dicendo di fare più attenzione. Ed è stato subito aggredito». Finito in ospedale per le lesioni subite, una volta dimesso ha vinto il terrore ed è uscito di casa. Un'occasione subito colta dai suoi aggressori che, in quattro, hanno realizzato una spedizione punitiva a cui ha assistito impotente il cameriere di un ristorante che si è nascosto dietro un albero e poi ha prestato i primi soccorsi. I ragazzi del quartiere, tra cui Manieri e Penna di 21 e 23 anni, hanno picchiato Renzo A. con le cinture e un casco, «cagionandogli multiple lacerazioni e contusioni cranio facciali con affondamento del cranio». Tutti atti, secondo i giudici, «idonei e diretti e non equivoci a cagionare la morte, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla propria volontà». Così che il 54enne è stato poi ritrovato «immerso in grandi macchie di sangue, il cranio sfondato, gli indumenti abbassati e impregnati di sangue». Anzi, gli imputati erano davvero convinti di averlo ucciso, tant'è che intercettato al telefono con la fidanzata il 4 ottobre successivo, a meno di un mese dall'aggressione, Manieri ha confessato tutto, convinto di aver ucciso la sua vittima. Timoroso di essere arrestato, il ragazzo ha affermato: «Oh, il sangue sul coltello è il mio... sono io ad aver detto a loro... di farlo... ad ammazzarlo. Non ho fatto niente, i coglioni, non ho fatto. Ricordati che per... tutto per colpa mia è successo. Ricordatelo questo, che non è una passeggiata... son trent'anni, eh, sono trent'anni, non quattro-cinque mesi». Nel quantificare la pena a 15 anni di reclusione per il reato di concorso in tentato omicidio con l'aggravante dei futili motivi, i giudici ricordano che i due giovani sono soggetti a numerose indagini per episodi analoghi. Penna, in particolare, per aver percosso un disabile e averne ucciso il cane e per la sparatoria del 20 gennaio 2008 davanti alla discoteca Karma al Parco delle Rose in cui un buttafuori ha perso l'uso di una gamba a causa di un proiettile. Spiegano che i ragazzi del gruppo «dominano la zona con le loro prevaricazioni e terrorizzano gli abitanti, esibendo aggressività tanto sproporzionata quanto insensata a ogni occasione di contatto con gli estranei al gruppo. Violenze reiterate, anche al di là del caso che ne occupa, il cui ininterrotto porsi è funzionale a mantenere lo stato di soggezione degli abitanti della zona». Tutto per sottolineare che «quanto finora argomentato esclude ogni spazio logico per poter ragionevolmente discettare di attenuanti generiche.
Né sotto alcun profilo possono deporre in tal senso l'ambiente sociale e la peculiare cultura in cui gli imputati sono vissuti. Ché vi è sempre spazio in qualsivoglia ambiente per riuscire a estrinsecare la propria esistenza senza di necessità prevaricare ed annientare per un nonnulla quella altrui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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