I mondi della politica e della giustizia sono dominati dall'ipocrisia e dalla menzogna. Risulta altrimenti difficile capire che (come si ricava da articoli apparsi sabato sul Corriere e sulla Repubblica) «Berlusconi va processato perché non poteva non sapere» mentre Giuliano Amato è «estraneo ai risvolti deteriori del craxismo». Si può pensare che Fedele Confalonieri non sia a conoscenza del funzionamento di Mediaset? Si può immaginare che (al di là della onestà personale) Amato sia stato vicino a Craxi ignorando i sistemi di finanziamento del Partito socialista? Come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, come Ministro del Tesoro, poteva non sapere? Pur disinfettato in ogni modo, assimilato ai Ds fino a diventare Presidente del Consiglio dopo le dimissioni di D'Alema, l'ombra di quella antica contiguità, di quel peccato originale gli ha sbarrato la strada al Quirinale. Ma è solo una battuta d'arresto di cui bisogna in ogni modo risarcirlo. E allora, all'inconsapevole, all'ignaro, giungono soccorsi inaspettati.
L'ex Procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo D'Ambrosio, uno dei moschettieri di Mani pulite, e quindi uno degli storici accusatori di Craxi (colpevole di tutto, mentre il suo principale collaboratore si muoveva, con qualche utilità, politica ed elettorale presumo, fra finanziamenti illeciti e tangenti, senza vedere, capire e sapere nulla) sostiene la candidatura di Giuliano Amato a ministro della Giustizia. Un destino naturale per chi, come osserva Marco Travaglio, «si trovò dall'altra parte della barricata, cioè ai vertici del Psi e del governo». Macché, dice il senatore D'Ambrosio, «Tangentopoli è ormai passata, è un fenomeno superato». Non superato è invece Amato che, mancata la Presidenza della Repubblica, non può mancare al governo.
È soltanto il povero, emarginato, Travaglio a trovarlo inopportuno, finendo con lessere d'accordo proprio con Craxi che, senza mai arrivare alla delazione, al racconto della naturale intrinsichezza e conoscenza delle strutture del partito dei suoi compagni di avventura politica e di governo, classificò Amato tra gli «extraterrestri». Come se lui, Scalfaro, D'Alema, Napolitano, e pochi altri intoccabili, fossero vissuti in un altro mondo.
Sarebbe interessante confrontare le considerazioni politiche di Craxi con quelle finanziarie di Giovanni Donigaglia, il presidente della Lega delle Cooperative inquisito da Di Pietro e riconosciuto, non diversamente da Severino Citaristi, onesto sul piano personale. Ma, nondimeno, arrestato e processato perché non poteva non sapere, come Craxi, come Berlusconi. Per alcuni vale, per altri no. Nella stessa aria di Milano D'Ambrosio «assolve» e promuove Amato; il sostituto procuratore De Pasquale, che tenne in carcere Gabriele Cagliari il quale, dopo aver a lungo atteso di essere interrogato, si uccise, accusa e condanna Berlusconi. Strane contraddizioni, logiche giudiziarie a corrente alterna. Anche per questo risulta sgradevole la dichiarazione di voto dell'ex sindaco Carlo Tognoli, socialista, craxiano, a favore di Bruno Ferrante. Ingiustamente inquisito, tenuto come appestato agli inizi di Tangentopoli per reati connessi con la sua «natura» socialista (la stessa di Amato, si sarebbe detto) ha vissuto anni di emarginazione e di discriminazione alla stregua di un ladro o di un delinquente, mentre a Milano furoreggiavano come soubrette, anche ballando alla Scala, Borrelli, Di Pietro, D'Ambrosio. A difenderne il merito e l'onore, riconoscendo le sue buone qualità di sindaco, eravamo pochi, molto pochi, forse soltanto due: Tiziana Maiolo ed io. Di Pietro, invece, lo voleva in carcere. Ora, sommessamente, la Maiolo ed io staremmo con la Moratti, e Tognoli lo sa, come sa quanto era difficile stare dalla sua parte in quegli anni. Ma lui, anche in tempo di pace sembra non riconoscere - o ha dimenticato - che noi siamo quelli, oggi come allora. E preferisce stare con Di Pietro che sostiene Ferrante.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.