Lorenzo Amuso
da Londra
Oltre mezzo secolo di immagini sexy e leggendarie. Dall'ormai storico ritratto di Marilyn Monroe, la prima musa, alle curve sensuali di Pamela Anderson, l'ultima pin up. Ritratti di donne conturbanti e discinte. Sogni proibiti di generazioni di uomini. Ancora oggi icone di sensualità, forse un po meno di trasgressione. Un tributo ad un certo tipo di bellezza - consumistica, immediata e procace - mostrata in tutta la sua licenziosità. Tra passato e presente, 150 scatti che documentano la storia della rivista maschile più famosa del mondo. Testimoniando nel contempo la trasformazione del corpo femminile, che abbandona le curve per una fisionomia sempre più androgina. Conigliette del passato e del presente: è questo Playboy Exposed, la mostra fotografica che fino al prossimo 26 febbraio, nella rinnovata Proud Camden Gallery di Londra, celebrerà i fasti dell'omonima rivista. Una retrospettiva dedicata ai nudi più famosi di divi e divine che hanno accettato di comparire senza veli sulle pagine del mensile statunitense.
Playmates per gioco o per convenienza, perché Playboy, in 52 anni di vita, è sempre stato un formidabile trampolino di lancio. Ursula Andress, Sharon Stone o Cindy Crawford. Star del cinema ritratte da maestri della fotografia - Salvador Dali, Helmut Newton, Pompeo Posar, Thierry Mugler e David LaChapelle - capaci di assicurare legittimità artistica a fotogafie, condannate viceversa ad un corrivo voyeurismo. «Playboy Exposed è un tributo al fascino perenne del mondo di Playboy - afferma Aaron Baker, direttore artistico di Playboy -. La mostra presenta anche una grande varietà di fotografi famosi che hanno lavorato per Playboy e le indimenticabili opere d'arte che hanno creato per noi». Immagini note, ma anche scatti inediti, selezionati dall'archivio sterminato di Hugh Hefner, ispiratore e fondatore di un magazine divenuto sinonimo dell'edonismo più frivolo ed osé. Un'abbuffata di volti e corpi femminili, che raccontano anche l'evoluzione del senso del pudore. Se i primi piani degli anni '50, cui è dedicata una sezione, rappresentano il limite invalicabile della trasgressione per la morale di quell'epoca, gli scatti «privati» di Hefner nella Playboy Mansion e sul Big Bunny Jet (il suo jet privato), che occupano altri due momenti della mostra, sono la cronaca più fedele di una vita fiabesca quanto sfarzosa. Sempre in bilico tra volgare esibizionismo ed eterna ricreazione. Una storia del costume che si snoda attraverso la favola esistenziale di un'editore «per caso».
Playboy nasce nel dicembre 1952 sul tavolo della cucina del ventisettenne Hefner. Licenziatosi da Esquire, che gli aveva rifiutato un aumento di cinque dollari la settimana, l'ex redattore decide di mettersi in proprio. Raccoglie 600 dollari con i quali acquista da uno studio di Chicago specializzato in calendari le foto di una giovane attrice. Il suo nome è Marilyn Monroe. Confeziona 44 pagine al prezzo di 50 centesimi: in pochi giorni vende 54.175 mila copie. Il primo numero, con in copertina Marilyn, non si chiamava ancora Playboy, ma «Stag Party» (il party per festeggiare l'addio al celibato). Al posto del coniglietto c'è un cerbiatto. Fin dal numero successivo però Hefner corregge il tiro. «Quando progettai Playboy di certo non pensavo ad un magazine sul sesso. Era un mensile sugli stili di vita che focalizzava la sua attenzione, da un punto di vista maschile, sulla connessione romantica tra uomo e donna».
Il romanticismo muta presto in un'aperta sfida alla repressione puritana: in questo contesto Playboy rappresenta una rottura storica per l'editoria mondiale. Hefner, 79 anni, ha lasciato le redini del suo impero nel 1982 alla figlia Christie. Oggi la Playboy Enterprises vale a Wall Street 446 milioni di dollari.
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