Adesso è tutto uno stupirsi, un prendere le distanze, un degradarlo: pentito sì, ma inattendibile. Finché Massimo Ciancimino avvelenava i pozzi delle inchieste che puntavano verso Arcore, i patrimoni del Cavaliere e le contiguità fra mafia e Forza Italia, era tutto un coro di incoraggiamenti, un susseguirsi di interviste e passerelle televisive, un ricercare affannoso di riscontri a supporto delle sue tesi più traballanti di un ponte tibetano. Ora, ora che Ciancimino junior chiama in ballo, nientemeno, l’ex capo della polizia e attuale direttore del dipartimento delle Informazioni per la sicurezza Gianni De Gennaro, tutti dicono quel che il Giornale scrive da mesi. O, in mancanza di meglio, minimizzano. Il racconto di Ciancimino non quadra, non convince, fa a pugni con la logica. Il dichiarante Massimo Ciancimino, un ventriloquo che estrae dal pozzo della memoria antichi dialoghi avuti col padre, Vito Ciancimino, e dal caveau documenti appartenuti al genitore, ora esagera chiamando in causa non Dell’Utri, il Cavaliere o qualche spezzone, deviato per definizione, dei servizi segreti, ma una figura istituzionale, rispettata e gradita alla sinistra e all’establishment tutto, come De Gennaro. Quella di Ciancimino è una svolta che lascia sgomenti molti esperti, campioni della lettura in bianco e nero della storia d’Italia.Finché Ciancimino junior evocava il misterioso signor Franco, l’inafferrabile anello di congiunzione fra la mafia e la politica, schiere di dietrologi si sono esercitati nel dare un volto a questo luciferinointerlocutore delle istituzioni. Ora Ciancimino, dopo due anni di non ricordo, dice che il signor Franco è addirittura De Gennaro. Anzi no, è una persona a lui vicina. O forse no, è un altro ancora. Una follia. Come campate in aria paiono molte delle sue affermazioni prodotte a rate, ma rate che cominciano ad assomigliare a quelle di un mutuo trentennale; eppure su quelle interminabili confessioni, postume per definizione, perché Ciancimino senior è morto nel 2002, lavorano alacremente diverse procure: Caltanissetta, che indaga sulle stragi del ’92-93, e Palermo, che cerca di far luce sulla trattativa fra lo Stato e Cosa nostra. Dopo un anno di tira e molla, Ciancimino junior ha consegnato al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia il famoso papello con le richieste dei Corleonesi per fermare le bombe, poi già che c’era ha parlato della nascita di Milano due, dell’attentato a Paolo Borsellino, della strage di Ustica, del caso Moro, della morte del banchiere Roberto Calvi e di chissà che altro. Ciancimino l’oracolo, il superconsulente di procure e pm, ora diventa una pericolosa mina vagante, un narratore confuso, un dichiarante inattendibile. Con i dovuti distinguo, naturalmente. Perché proprio Ingroia gli lancia un salvagente: «Massimo Ciancimino è un personaggio sui generis . La valutazione delle sue dichiarazioni va fatta caso per caso: sono attendibili e apprezzabili quando sono riscontrate e, in alcuni casi, sono state riscontrate». Così lo slalom fra verità, mezze verità e patacche può proseguire. Una rata delle sue dichiarazioni arriva in extremis in coda al processo d’appello contro Marcello Dell’Utri e la procura generale cerca di farlo entrare in scena ma i giudici non vogliono perdere tempo e lo tengono a distanza. Fuori dal processo Dell’Utri,ma dentro quello al generale Mario Mori che si difende parlando delle carte di Ciancimino come di documenti contraffatti, manomessi, taroccati. Però, chissà perché, quando punta il dito contro Mori, il figlio di don Vito risulta simpatico a tv, giornali e procure, quando come un cavallo imbizzarrito sposta quel dito verso De Gennaro perde simpatia e claque , di più, rischia l’incriminazione per calunnia. E rischia di mandare in testa-coda alcuni dei suoi più sofisticati esegeti. «Commissario Davanzoni, oggi non pervenuto», ironizza Dagospia a proposito del silenzio del solitamente fluviale editorialista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo. E anche L’Unità , che da sempre lo accompagna fra squilli di tromba, lo liquida in due colonne scarse.
Lui,con l’ennesima torsione, s’improvvisa portavoce di se stesso e si mette in contrasto con il padre di cui è il presunto altoparlante: «Gianni De Gennaro ha rappresentato la lotta alla mafia ed è un grande investigatore, però prima di annunciare querela avrebbe dovuto leggere le dichiarazioni che ho messo a verbale a Caltanissetta, in cui evidenzio che non ho mai condiviso le idee di mio padre su di lui». E così l’oracolo mette in crisi l’oracolo. Anzi, smentisce in un colpo solo se stesso, suo padre e chi gli ha dato credito in questi anni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.