Cultura e Spettacoli

«Lost in Beijing» La Cina censura un altro film

da Honk Kong

Ci sono film che toccano nervi coperti. E li scoprono. In Italia accadde con La dolce vita (1960); con Ultimo tango a Parigi (1972); perfino con un film americano girato qui, La passione (2005). Oggi, quando il nostro cinema generalmente urta solo il buon gusto, tocca ai cinesi subentrare nell'urtare il potere costituito coi film. L'ha fatto Lost in Beijing («Perduti a Pechino») di Li Yu, inedito da noi, ma presentato un anno fa al Festival di Berlino, contro il parere della autorità cinesi. A metà dicembre il film è uscito in Cina, tagliato, ma ieri è stato ritirato dalla circolazione.
Come nel caso Lussuria di Ang Lee, Lost in Beijing in origine era sessualmente esplicito; una volta censurato dell'eros, è dunque il banale «compromesso» in ambiente di lavoro ad apparire come tabù. Qui poi sfocia in una gravidanza adulterina e sfocia in un complesso rapporto fra coppia padronale e coppia subalterna. Ci si addentra quindi nei rapporti di classe, ovvero di dominazione. Ed è discutere la questione del potere, più che quella del desiderio, a essere considerato dalle autorità nocivo per il buon nome della Cina alla vigilia delle Olimpiadi.

Anche qui c'è un'inconsapevole evocazione del passato italiano: andandosi verso le Olimpiadi di Roma, Giulio Andreotti obiettò al nostro cinema che «i panni sporchi si lavano in casa».

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