«LOST», UN CULT CON QUALCHE OMBRA

Ha debuttato anche sulla tv generalista il celebrato Lost (lunedì su Raidue, ore 21), uno dei più eclatanti esempi di fiction per cui si è soliti spendere l'usurata definizione «di culto». È di culto senza ombra di dubbio in America, terra dove la serialità televisiva sta spesso alla pari, per qualità e cura dei particolari, con il miglior cinema disponibile. Forse lo diventerà anche in Italia, a giudicare dal positivo riscontro del pubblico (oltre quattro milioni di spettatori lunedì). Lost è tante cose insieme: immagini di grande effetto spettacolare, fotografia di ottima scuola, cinepresa che si muove con efficace perizia realistica a seguire, talvolta quasi rasoterra, la dura sopravvivenza quotidiana su un'isola tropicale dei 48 superstiti di un disastro aereo, molti dei quali hanno qualche grosso scheletro nel loro bagaglio esistenziale, il che diventa motivo di ulteriore interesse. L'intersecarsi di situazioni personali di forte impatto, che la nuova vita sull'isola parrebbe poter azzerare ma che continua a ossessionare i protagonisti, semina una traccia di costante inquietudine nello spettatore. Nello stesso tempo Lost è anche un curioso caso di sopravvalutazione artistica, o perlomeno di doppiopesismo critico. Essendo circondato fin dall'inizio da recensioni entusiaste e dall'aureola del capolavoro, si finge un po' tutti di non coglierne alcuni aspetti grossolani che non verrebbero perdonati facilmente a prodotti di diverso pedigree. Se ad esempio Lost fosse una serie italiana, non si mancherebbe di sottolineare che la trovata di inventare un figura animalesca terrorifica seminatrice di morte (non bastasse ai dispersi la sfortuna di trovarsi in una situazione già di per sé drammatica) toglie alla fiction parte del suo rigore narrativo e almeno un po' di identità stilistica, appesantendo il racconto di un tratto orrorifico che sconfina nel grottesco o comunque nell'infantile. Se Lost fosse firmato da un regista europeo, anziché ideato dal genio di J.J. Abrams (già creatore di Alias), non sfuggirebbero alcune evidenti incongruenze della sceneggiatura, come la scena in cui il poliziotto moribondo con quaranta di febbre, un'infezione diffusa e l'addome ormai rigido salta al collo della detenuta che aveva in custodia e quasi la strozza.

Non tutto, in Lost, è all'altezza della straordinaria forza espressiva delle immagini, a cominciare dallo scarso dinamismo dell'azione che contrasta con il genere avventuroso cui appartiene la serie. Perfetta invece la scelta dei protagonisti, delle «facce», con particolare riferimento a Matthew Fox nel ruolo del medico Jack, della «rock star» Dominic Monaghan e di Evangeline Lilly nei panni della ricercata Kate.

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