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Lottizzazione I giudici danno ragione al Comune: per Premaimm nessun risarcimento

Sconfitta in tribunale per Premaimm (oggi immobiliare lombarda) che chiedeva al Comune di Milano un risarcimento di 30 milioni (più interessi) per la mancata stipula della convenzione di lottizzazione sulle aree adiacenti a via Bellarmino, a sud di Milano. La Corte d’appello di Milano ha posto fine a una diatriba iniziata negli anni Novanta, sottolineando che il gruppo di Salvatore Ligresti «non ha offerto prova dell’effettiva e concreta sussistenza del danno, non ha prodotto alcuna documentazione, né articolato mezzi istruttori». L’oggetto del contendere è la mancata stipula, da parte del Comune di Milano, della convenzione di lottizzazione di alcune aree in via Bellarmino (per un’estensione di 179mila metri quadri) e di proprietà del gruppo Ligresti. Il piano di lottizzazione prevedeva - dietro l’autorizzazione al privato a edificare in parte le aree - la cessione di un’altra parte delle aree stesse al Comune o il loro asservimento all’uso pubblico. Il mancato passaggio dal piano di lottizzazione (adottato con delibera di giunta nel 1985) alla stipula della convenzione aveva spinto la Premafin a ricorrere al tribunale già nel 1993, ottenendo tuttavia sentenza sfavorevole nel 1998. Il ricorso in appello, datato 1999, era stato preso in carico dalla Premaimm a seguito della scissione da Premafin, e si era trascinato fino allo scorso 20 gennaio complici i ripetuti (ma infruttuosi) tentativi di raggiungere un accordo tra le parti. Alla fine, la sentenza della Corte d’Appello è stata chiara: «Il comportamento tenuto dall’amministrazione comunale nella vicenda, ovvero il suo rifiuto di stipulare la convenzione relativa al piano di lottizzazione, non appare ascrivibile a colpa».

Il motivo? «Su parte delle aree di proprietà dell’appellante gravava il vincolo del Cimep (consorzio intercomunale milanese per l’edilizia popolare, ndr) che le aveva destinate, nel 1981, al piano consortile per l’edilizia economica e popolare». E quel vincolo, precisano i giudici nella sentenza, era «disposto da un’autorità dotata di autonomia e certamente non rimovibile autonomamente dal Comune».

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