Lui disse: «La Terra si muove, il Sole sta fermo» Il Santo Uffizio rispose: «Teoria stolta e assurda»

Già nel febbraio 1616, il Santo Uffizio aveva espresso una condanna per le teorie cosmologiche copernicane, considerate «stolte e assurde» ma le opere di Galileo non vennero inserite fra i libri proibiti. Il cardinale Roberto Bellarmino aveva invitato Galileo a sostenere l'eliocentrismo come mera ipotesi matematica. Ma il timore dello scienziato che gli si espropriasse l'imprimatur della sua teoria e l'impazienza di vedere accettate le sue idee, lo irrigidirono e lo condussero allo scontro finale. Lui decise di continuare a difendere la validità del modello copernicano. Rispose in modo indiretto, attraverso lo scritto Discorso delle Comete di un suo amico e discepolo, Mario Guiducci (in cui la mano del maestro era certamente presente). Più tardi, nel 1623, scrisse il trattato Il Saggiatore. Galileo si dedicò quindi alla stesura del Dialogo di Galileo Galilei sopra i due Massimi Sistemi del Mondo Tolemaico e Copernicano, in cui espose il principio di relatività e il suo metodo per determinare la velocità della luce. Non passò molto perché Urbano VIII si pentisse di non aver vigilato personalmente alla concessione dell'imprimatur all'opera di Galileo. Infatti il sistema copernicano non era affatto trattato come mera ipotesi matematica, ma tutta l'opera tentava di dimostrarne l'effettiva realtà. Nel corso del processo Galileo, che era già malato e fu ad un certo punto minacciato di tortura, negò perfino di aver mai abbracciato la dottrina copernicana, nonostante l'evidenza di ciò che aveva scritto nel Dialogo, e si dichiarò disposto ad aggiungere dei capitoli per confutare Copernico, ma l'Inquisizione non tenne in considerazione questa offerta di Galileo.


Il 22 giugno 1633 Galileo fu riconosciuto colpevole di «aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, che il Sole non si muova da oriente ad occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo».

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