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«Da lui non accettiamo lezioni di moralità»

Roma«Tutti auspicano una “riforma condivisa” della giustizia, ma io ho il terrore che si finisca con un papocchio che serve a poco». I radicali, si sa, vanno spesso in controtendenza. Rita Bernardini, parlamentare eletta nel Pd e membro della commissione Giustizia, non fa eccezione.
Non vuole il dialogo sulla giustizia, onorevole Bernardini?
«Certo che voglio il dialogo, e che in Parlamento si apra un confronto schietto e approfondito su un settore che va profondamente riformato come quello della giustizia. Ma questo non vuole dire che si debba obbligatoriamente arrivare ad un compromesso unanimistico tra maggioranza e opposizione, perché temo che così le riforme serie non verranno mai fatte. Si discuta, ma poi nelle Camere si voti a maggioranza».
Voi radicali avete già presentato, sotto forma di mozione parlamentare, una traccia delle riforme necessarie. Quali sono?
«In quel testo c’è tutto: separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, Csm, responsabilità civile dei magistrati, carriere, incarichi extragiudiziali. Abbiamo avuto l’apprezzamento del Guardasigilli Alfano, e raccolto molte firme bipartisan. Anche se nel Pd, devo dire, abbiamo avuto molto meno ascolto che nel centrodestra. Per loro, la riforma deve limitarsi ad aggiustamenti tecnici dello status quo, un po’ più di efficienza ma niente ridisegno complessivo anche dei poteri. Continuano a restare appiattiti sull’Anm».
Dopo le inchieste che lo hanno colpito, anche il Pd sembra fare qualche timida apertura, no?
«Ho visto che il ministro ombra Tenaglia se ne è uscito con una proposta, che però onestamente non mi pare tocchi i nodi veri. La storia dei tre giudici mi ricorda quella dei tre maestri: uno di destra, uno di sinistra e uno di centro? Non mi pare che ci siamo. Anche perché la legge già prevede limiti molto ristretti per l’uso del carcere preventivo. Solo che viene sistematicamente disapplicata dai magistrati. Esattamente come per le intercettazioni».
In che senso?
«Io ho sollevato il caso delle intercettazioni tra difensore e assistito: sono vietate dalla legge, come è logico perché il dialogo tra avvocato e imputato è sacro come quello che si svolge in confessionale, eppure vengono lo stesso realizzate a raffica. Quindi bisogna rendere la legge più cogente e obbligare i magistrati a rispettarla».
Insomma, non la convince la disponibilità al dialogo del Pd?
«Mi pare che al Pd manchi un’idea complessiva di riforma. Violante dice cose importanti che certo anni fa non diceva, ad esempio sulla necessità che l’ordine giudiziario risponda a qualcuno del suo potere. La magistratura ha ogni tutela e privilegio, si autoregolamenta col Csm, sceglie grazie all’obbligatorietà quali processi fare e quali no, può sbattere chiunque in galera. Ma se sbaglia non paga mai. Il Pd, però, non ha mai discusso di questo e altri problemi di fondo in una sede di partito, elaborando una propria visione complessiva. Anzi, mi pare che, a parte qualche aggiustamento e la richiesta di un po’ di efficienza in più, vuol fare restare le cose come stanno».
È condizionata dalla sua alleanza con Di Pietro?
«Non mi pare che Di Pietro abbia molto da insegnare, in fatto di moralità: vedo che i suoi, se sospettati, si dimettono sì ma solo da Italia dei Valori. Resto sempre a bocca aperta di fronte al fatto che nessuno smascheri la doppiezza di Di Pietro: riesce a far apparire come limpido e cristallino ciò che non lo è per nulla.

Ad esempio la gestione del finanziamento pubblico, che è tutto nelle mani sue e della sua tesoriera, fuori da ogni controllo democratico del partito».

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