Sarebbe bastato veramente poco, qualche anno in più e quella straordinaria poetica, allora non conforme e non alla moda, quell'intensità di pensiero, sarebbero stati compresi, condivisi e interiorizzati dalla gente. Per raccontare, per non lasciare sfumare i ricordi ancora vivi nella memoria degli italiani, per dare forma al modus vivendi del cantautore, Gianluca Ferrato, sulla scena del Teatro Litta presenta Quante vite avrei voluto - Una storia per Luigi Tenco di Piergiorgio Paterlini. Diretto da Marco Mattolini e accompagnato dal pianoforte di Marco Savatteri, Ferrato, racconta la diversità dell'artista attraverso un excursus lungo l'Italia dell'epoca.
Sulla scena un pianoforte spezzato in tanti pezzi, come un luogo dell'anima, raccoglie le immagini, le parole e le canzoni che sono appartenute a Tenco: la stanza nella quale muore, proiezioni dell'edizione di Sanremo, la biblioteca che contiene tutti i documenti dell'epoca. Ferrato, nei panni di un notaio, si addentra in questo locale alla ricerca di testimonianze che gli consentiranno di ricostruire la storia del cantautore; aveva 7 anni il professionista quando, nonostante l'attesa dell'evento sanremese, non riuscì ad assistere all'esibizione di Tenco, avvenuta in tarda serata. Oggi, cerca delle risposte alle numerose domande che si pose allora: cosa è successo il giorno dopo la morte di Tenco? Cosa si è perso, quali eventi di cronaca, quanti successi scientifici? «Sono protagonista - continua Ferrato - di questa ricerca di risposte alla quali, per anni, ho avuto l'esigenza di dare una risposta. Ho realmente vissuto l'esperienza del notaio che, sulla scena, vorrebbe chiudere i conti con il passato andando ad indagare su quello che Tenco si è perso. In questa biblioteca, la storia del notaio si intreccia con la vicenda di Tenco, pretesto per fare un bilancio profondo e impietoso della propria vita».
Antesignano di un modo di pensare non omologato, Tenco si è perso il futuro e l'affetto dei posteri che, all'unanimità gli hanno dato ragione; ma quando scriveva ed interpretava le sue canzoni dibatteva con troppa intensità e passione: la musica italiana doveva prendere spunto dalle sue tradizioni popolari e le canzoni dovevano essere utilizzate come strumenti di denuncia e di protesta sociale. L'Italia benpensante di allora non poteva che condannare queste posizioni troppo estremiste, giudicandole pure eresie; dovevano ricevere l'impulso dell'estero che arrivò con Bob Dylan il cantante che accompagnò le contestazioni e le ribellioni del '68. Con «Quante vite avrei voluto», Gianluca Ferrato conclude il secondo capitolo di una trilogia di teatro consacrato al mondo della musica.
Quante vite avrei voluto
al Teatro Litta corso Magenta, 24
fino al 31 dicembre.
Orari: dal martedì al sabato
20.30 - domenica 16.30
Ingresso: 12-18 euro
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.