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L'ultimo giorno fa rivivere tutti quelli perduti

Basta una manciata d'ore, a Edoardo Nesi, per raccontare una vita e con lei un'epoca non troppo remota, gli anni Ottanta

L'ultimo giorno fa rivivere tutti quelli perduti

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Basta una manciata d'ore, a Edoardo Nesi, per raccontare una vita e con lei un'epoca non troppo remota, gli anni Ottanta; del resto Federico detto Fede, il protagonista de I lupi dentro (La nave di Teseo, pagg. 355, euro 20) è nella condizione migliore per tirare le somme, visto che ha deciso di ammazzarsi. Perduta la fabbrica, perduta o quasi la casa - gli ufficiali giudiziari potrebbero arrivare da un momento all'altro e fingere una vertebra spostata per impietosirli probabilmente non funzionerebbe - non gli resta che accendere il motore della vecchia Porsche, ancora in grado di far scattare gli autovelox ai 285 orari, e recarsi in pellegrinaggio nei luoghi più significativi della sua esistenza, arricchendone la sequenza con il ricordo di posti anche molto lontani dall'asse Firenze-Prato sul quale bascula il romanzo.

I compagni di antiche avventure (all'Harry's Bar di Firenze o ad Ibiza, a Madison Avenue e a Miami), di solito fra le lacrime, partecipano al dramma e si adoperano per allontanare lo spettro del crollo. Un amico che gestisce un ristorante, appena lo intravede spadella fois gras e stappa la bottiglia del secolo, mentre un vecchio cameriere, che lo riconosce anche se ormai sembra un barbone, in una scena patetica ma riuscita gli offre il tavolo gratis, confessandogli che ha potuto far studiare la figlia all'università grazie alle mance un tempo distribuite a quattro palmenti proprio da lui. Non manca la rievocazione di una notte a Roma, prima in taxi accanto alla diva del momento, poi tutti a ballare al Jackie O'. Però è alla Capannina di Forte dei Marmi che giunge l'amore vero. Siamo negli anni Ottanta e dunque lei sarà una top model (ricordate questa formula, ormai desueta?). Si chiama Ginevra, si materializza durante una serata noiosa per concedersi senza esitazioni e poi scompare, lasciando sull'anima di Fede una ferita non rimarginabile. Inseguita persino alle Bahamas (il padre imprenditore tessile, per coprire la ragazzata, a casa racconta che ha mandato il figlio a portare dei soldi in Svizzera), la figura di Ginevra ribadisce che anche in Toscana vale la legge del Grande Gatsby: chi prova a comprare l'amore con la moneta del successo è un illuso destinato a soffrire e alla fine a perdere anche il successo, perché in quel campo non c'è tabella di stock exchange che valga. Sullo sfondo, intanto, sfilano le immagini del declino di un'area industriale che Nesi ha già descritto molte volte, con un'operazione di trasfigurazione che di quel fallimento fa un emblema universale, di mondi belli tramontati per la crudeltà della Storia e qualche errore umano.

Sono graffiti italiani narrati con generosità e ritmo carducciani; pagine nelle quali, complice una colonna sonora che non perdona (ma il titolo è preso in prestito da una poesia di Jim Morrison), saranno in molti a specchiarsi, anche se magari negli anni Ottanta non guidavano fuoriserie, né avevano un padre che staccava biglietti d'aereo per le isole dei mari del Sud.

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