È divina l'essenza degli animali? Scrivo, mi accingo a scrivere, di Giusy Rampini, a Dublino. Talvolta importa il luogo da cui parte o in cui arriva un pensiero, per capire come si forma.
Qui è facile. A Lucan House, la casa palladiana dell'Ambasciatore italiano, nel grande parco si muovono, pesanti e viventi, otto bufale di Davide Rivalta. Sono animali antichi, solenni, primitivi, visti a Cona, vicino a Ferrara, e trasferiti nel bronzo evitando la macellazione. Gli animali hanno una vita più libera e sicura nel mondo dell'arte che nel mondo degli uomini. Gli artisti guardano gli animali con una considerazione e un rispetto che restituisce loro l'anima e la dignità di creature. Mentre sono qui, mi arrivano le immagini degli animali di Giusy Rampini che, con diverso procedimento, ci sono restituiti, e che Giusy chiama «anime selvagge» perché lei sa, è assolutamente certa, che hanno un'anima e soprattutto non hanno le finzioni e le menzogne degli uomini, talvolta sublimi, talvolta orrendi. Gli uomini ti deludono, gli animali non ti deludono mai, e tanto più quanto più sono lontani, liberi, senza rapporto di confidenza con gli uomini.
Gli animali domestici finiscono per assumere i limiti degli uomini con i quali convivono. Sono consolazione e vizio. Non ingannano (gli animali non ingannano mai), ma possono fingere. Gli uomini ingannano e fingono sempre. Giusy dipinge giraffe, antilopi, rinoceronti, elefanti, e quanto più sono grandi e distanti tanto più ne intende la solenne, pensosa profondità. Lei non ne conosce i limiti, ma solo la potenza, l'integrità. Scrive: «nella nostra concezione antropologica ed estetica, ciò che nella natura caratterizza l'animale, se è avvisato nel genere umano, viene deriso o stigmatizzato. Ma l'animale è l'emblema della sfera istintiva che caratterizza ogni essere vivente, racchiudendone l'autentica essenza». Ne è così consapevole da percepire l'umanità degli animali. La sua impresa artistica è un'esperienza spirituale. Per capire la verità dell'animale, per entrare in lui e ritrovare la propria integrità perduta: «Ecco allora che rappresentare l'animale ed immedesimarsi in esso significa entrare in possesso del suo valore simbolico, comprenderlo, portare la sua forza dentro noi stessi».
Ciò che le importa è lo spirito dell'animale; non vuole rappresentarne la forma, ma la profondità, l'intensità, l'essenza. Alla fine Giusy dialoga con il più distante, immerso nella vertigine del tempo: l'elefante. «L'animale che è più presente nelle mie opere è l'elefante, perché unisce fisicità e una forza alla sua proverbiale energia placida». L'animale vive nella natura, se la fa bastare, non fa storia. Per l'animale il tempo non esiste. Attraversa i secoli, le civiltà, le città e le campagne senza mutare. L'animale è più vicino a Dio di noi.
La nave di Teseo ha tradotto un libro bellissimo, di un giovane studioso americano, Premio Pulitzer per la divulgazione scientifica, Ed Yong: Un mondo immenso. Come i sensi degli animali rivelano il mondo nascosto intorno a noi. Scrive Ed Yong nella sua introduzione: «È un libro sugli animali in quanto animali. Alcuni scienziati studiano i sensi animali per meglio comprendere i nostri, usando creature eccezionali - pesci elettrici, pipistrelli e gufi - come organismi modello per indagare il funzionamento dei nostri sistemi sensoriali. Altri sottopongono a ingegneria inversa i sensi degli animali per creare nuove tecnologie: gli occhi di alcuni crostacei hanno ispirato i telescopi spaziali, le orecchie di una mosca parassita hanno influenzato lo sviluppo degli apparecchi acustici, e i sonar militari sono stati perfezionati studiando il sonar dei delfini. Sono tutte ottime motivazioni, ma non mi interessano. Gli animali non sono un rimpiazzo per gli esseri umani o materiale per sessioni di brain storming. Hanno valore in sé. Esploreremo i loro sensi per meglio comprendere le loro vite. Sono finiti e completi, dotati di estensioni dei sensi che noi abbiamo perduto o che mai abbiamo conquistato, vivono di voci che mai udiremo, ha scritto il naturalista americano Henry Beston, sono né nostri fratelli, né nostri inferiori; sono nazioni completamente altre, intrappolati insieme a noi nella rete della vita e del tempo, come noi prigionieri dello splendore e del travaglio della Terra».
Pur condividendo entrambi questa alta considerazione del mondo animale, la ricerca estetica di Giusy è molto diversa da quella di Rivalta, ma non si può non considerare che, senza parlarsi, con esperienze umane ed estetiche distinte, entrambi sentano la necessità di rappresentare il leone, l'animale più libero e lontano dal commercio degli uomini, nella certezza di un'integrità, e di una condizione spirituale favorita dalla distanza. La sacralità dell'animale, come nella considerazione degli antichi. Quanto più è indipendente dall'uomo, quanto meno è domestico, tanto più il leone esiste per sé, garantisce con la sua forza il potere dell'uomo. E libero nella natura si compiace. Colpisce che, come per Rivalta, anche per Giusy il leone sia imprescindibile. Ed è interessante rilevare che, anche per lei, a fianco degli animali lontani, nelle foreste o nelle riserve, sia importante il dialogo con i bufali che, rispetto agli animali selvaggi, hanno commercio con gli uomini e, nonostante la loro potenza, spesso ne sono vittime. I bufali sono utili agli uomini, che non li risparmiano, ma hanno una arcaica forza e una naturale bellezza che l'uomo, prima di ucciderli, non può umiliare.
Ciò che Giusy
intende rappresentare è la dignità degli animali nel loro incedere lento, nel loro essere indisturbati. All'uomo non resta che manifestare e riconoscere la propria inferiorità. Dentro la natura l'animale dialoga con Dio.
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