Politica

La lunga retromarcia del compagno Mao

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Mao Zedong? Un grande creatore di moda. È l’unica menzione che si fa di lui nel nuovo rivoluzionario manuale di storia per le scuole medie e superiori di Shanghai. Lo scopo, riferiscono i docenti cinesi al New York Times, è quello di rendere più comprensibile agli studenti la realtà odierna senza tuttavia rinnegare il passato.
Il Socialismo continua ad avere «un radioso futuro», ma il suo passato «classico» è ridotto non a un capitolo ma a un periodo, in cui sono raccolte le riforme economiche della rivoluzione tra il 1949 e il 1979. La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria? Non è mai esistita, almeno per chi si abbeveri unicamente a questo testo. Si parla invece a lungo delle riforme successive al 1979, quelle in cui l’egualitarismo maoista fu smontato e il comunismo prese il suo attuale volto capitalista.
Se Mao è nascosto in una frase, Deng Xiaoping si estende su diversi capitoli, e i suoi successori Jiang Zemin e Hu Xiaobang dominano il complesso del testo, pur citati infinitamente meno di quanto si usasse tradizionalmente in Cina. O si usi tuttora al di fuori di Shanghai, perché la metropoli è ancora una volta all’avanguardia, terreno di un esperimento: un’altra rivoluzione culturale, il punto di arrivo, forse, di una Lunga Retromarcia.
Anche la Lunga Marcia è liquidata in un paio di paginette. I liceali vengono liberati di gran parte del peso della Storia, da quella antichissima della Cina e da quella dell’ultimo tumultuoso secolo. Ridotte perfino la menzione dell’invasione giapponese. Della guerra civile che portò al potere i comunisti si parla in tono ecumenico, come di un evento che riportò dignità e concordia alla Cina.
Rimane il Mao dei monumenti, il Padre Fondatore il cui museo nella città natale è tuttora un’attrazione turistica, e il cui ritratto continua a campeggiare in Tienanmen come se fosse quello di Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Cavour fusi in un faccione e di cui ci si ricorda ufficialmente solo nell’anniversario della morte, mediante l’esposizione delle bandiere a mezz’asta. Ancora un passo e poi il comunismo non sarà stato una rivoluzione, ma una rifondazione della Cina Eterna. Rifondazione Acomunista. Tutto lo spazio rubato al passato, soprattutto recente, è devoluto al presente e al futuro.
Si parla poco della guerra contro il Giappone, ma si descrivono le meraviglie dei «supertreni» giapponesi. Il proletariato cede il passo alla globalizzazione, le Comuni all’elettronica, Chu en-Lai a Bill Gates. C’è spazio perfino per descrivere il come e il perché i dirigenti cinesi sono tornati a indossare giacca e cravatta, scaricando il pigiametto che pensavamo Mao avesse reso immortale. La Cina si riconosce, almeno per ora a Shanghai, in un Nuovo Grande Balzo in Avanti riuscito, in direzione opposta, a quello tragicamente fallito negli anni Cinquanta.
Una storia, spiega il professor Zhu Xueqin, diversa da quella tradizionale, che era basata sull’identità nazionale e sull’ideologia. La nuova storia sottolinea i fatti e i fini di oggi. E il suo motore, addio Marx, non è più la lotta di classe. Il Santo Patrono della nuova scuola è lo storico francese Fernand Braudel, che è già riuscito anche in Occidente a dare uno spazio prevalente agli sviluppi culturali, agli usi sociali, ai fatti economici, ma soprattutto al ruolo dei «piccoli», delle relazioni di quartiere e di villaggio. Il comunismo, nella Cina braudeliana, è un evento della storia, meno importante, per esempio, della Rivoluzione Industriale (che gli diede vita) e della odierna rivoluzione informatica.
Quasi tutti gli accadimenti vengono «sdrammatizzati», in una maniera sconosciuta oggi in Europa. La rivolta xenofoba detta dei Boxer della fine del XIX secolo (quella dei 55 giorni a Pechino e dell’ingresso dei Bersaglieri nella Città Proibita), era presentata finora, comprensibilmente, come il Bene Assoluto, e dunque si nascondevano i suoi aspetti più violenti. Adesso si cerca perfino di spiegare che cosa condusse all’intervento straniero. Lo Stupro di Nanchino, principale atrocità commessa dai giapponesi durante la guerra, viene ricordato ma non se ne sottolinea più la «unicità». Ci rimettono perfino le Grandi Rivoluzioni che ispirarono quella cinese: quella Russa era già in declino, ma il ridimensionamento investe ora anche la Rivoluzione Francese, primo mito del marxismo.
Si potrebbe concludere, dunque, che ad essere ridimensionata nei nuovi libri di testo cinese è la Storia nel suo complesso.

Un fardello di cui alleggerire le menti e lasciare più spazio a un manuale su come affrontare il futuro.
Alberto Pasolini Zanelli

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