L'uniforme di lavoro? Troppo scollata. E ottiene 3mila sterline

Londra, giovane musulmana perde la causa contro i proprietari del locale in cui lavorava ma ottiene comunque il risarcimento: doveva indossare un abito rosso che lei considerava «indecente»

I giudici le hanno dato torto su tutto ma, alla fine, la causa l'ha vinta lo stesso. E ha ottenuto tremila sterline per «molestie sessuali» da parte dei suoi ex datori di lavoro. Motivo della molestia: un abito rosso scollato che Fata Lemes, cameriera musulmana di 33 anni, bosniaca traslocata a Londra, avrebbe dovuto indossare secondo i proprietari del locale in cui lavorava. Ma per Fata l'abito era «disgustoso» e la faceva «sembrare una prostituta». Tanto che ha chiesto 20mila sterline come risarcimento, di cui 17mila e cinquecento perché i suoi sentimenti erano stati gravemente urtati. E perché, secondo lei, non le sarebbe rimasta altra scelta che licenziarsi, come poi è avvenuto.
Su tutti questi aspetti i giudici inglesi le hanno dato torto. Parlare di trauma è esagerato, dire che sia stata costretta a lasciare il lavoro pure. E per le toghe di Sua Maestà non è neppure vero che l'abito dello scandalo fosse poi così sconveniente: non era affatto «indecente e sessualmente provocante» come sosteneva la ex cameriera. Eppure, secondo gli stessi giudici i sentimenti di Fata erano sinceri: cioè il vestito non era certo da prostituta, ma lei davvero si sarebbe sentita così a indossarlo. Quindi: ha torto, ma le spettano le tremila sterline di risarcimento, per «molestie sessuali». Un paradosso che ha scatenato molte polemiche in Gran Bretagna, soprattutto per due motivi: primo, il vestito rosso era la nuova uniforme del locale, quindi, in qualche modo, parte del lavoro; secondo, sulla sua pagina Facebook la bionda Fata appare con indosso una canottiera forse ancora più scollata che l'abito in questione.
Ma secondo Fata in quel locale londinese le cameriere erano considerate alla stregua di prostitute, come avrebbe verificato da alcuni atteggiamenti dei clienti. E quel vestito l'avrebbe fatta sentire «in vetrina», quasi fosse «una delle attrazioni» per gli avventori. E secondo i giudici «questa percezione era legittima e non irrazionale». Alla fine, chiederle di indossare quel vestito rosso è stato «violare la sua dignità».

E anche se la signorina Fata «ha delle opinioni in fatto di modestia e decenza che si possono ritenere inusuali per la Gran Bretagna del 21esimo secolo» - hanno decretato i giudici - le sue opinioni, comunque, fanno cassa. E sentenza.

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