Macché figurina del presepe: Cassano è sempre Cassano

Macché figurina del presepe: Cassano è sempre Cassano

(...) Il tutto, ovviamente, condito alla perfezione: gruppi di famiglia in un esterno sul palco del teatro Ariston; trombettieri della sua convocazione in Nazionale che ci raccontavano come, con Cassano, l’Italia avrebbe sicuramente vinto il mondiale e che era tutta colpa di Lippi; la partita dell’Italia con le isole Faer Oer portata come prova di questa tesi; le puntate di Sfide più affettuose di un’intervista di Annozero a Gianfranco Fini, simili al racconto di padre Pio nei programmi religiosi; pagelle domenicali dove bastava che Cassano avesse toccato due palloni (bene, benissimo, divinamente, per carità, questo non è in discussione), per partire dal 7.
Un coro in cui non abbiamo mai voluto cantare, addirittura criticati per questo. Le raccolte del Giornale sono a disposizione. Perchè è facile dire «Io l’avevo detto», ma poi bisogna averlo detto per davvero.
Tutto questo, condito da un clima di ovatta mediatica - di cui i giornalisti genovesi non sono i maggiori colpevoli - che soffocava ogni sussurro riguardante Cassano. Anzi, paradossalmente, le uniche pseudonotizie che sono uscite, erano scemenze clamorose tipo scazzottate in piazza De Ferrari o nei bar di Nervi, con la variante del compagno coinvolto nella rissa. Un giorno si sarebbe picchiato con Palombo, il giorno dopo con Mannini, il terzo con Pazzini e il quarto con Del Neri, magari con la ciliegina di averlo travolto in auto subito dopo. Ovviamente, erano tutte sciocchezze, ma il tam tam le rilanciava in continuazione.
E invece, mentre si parlava di scemenze, il punto era un altro. Il punto che la figurina del presepe costruita attorno ad Antonio era solo un ologramma e che Cassano resta Cassano, nel bene e nel male. Nasconderselo, sarebbe solo prendersi in giro. Soprattutto, è stato il modo migliore di far male allo stesso Cassano e alla Sampdoria. E proprio per questo occorre ringraziare a vita lo scoop di Telenord sul litigio fra Cassano e Garrone che ha aiutato, finalmente, a fare chiarezza su uno dei più grossi equivoci sportivi degli ultimi anni.
È stato scritto, e mai smentito, che un giorno su Antonio litigarono Gigi Del Neri e Riccardo Garrone. Secondo questa vulgata, il tecnico disse al presidente blucerchiato: «Antonio le volterà le spalle, come ha fatto a Roma con Sensi, che pure l’aveva ricoperto d’oro». Risposta di Garrone: «Lei non si deve permettere, io conosco gli uomini molto bene». Controrisposta di Del Neri: «Lei conosce molto bene gli uomini, ma io conosco molto bene Cassano».
Non so se quello scambio ci sia stato. Ma è verosimile. So, invece, quello che disse a me il presidente della Sampdoria il giorno dopo che io attaccai duramente Cassano per le sue sconcertanti parole dopo la partita con il Bari, quando qualche tifoso l’aveva legittimamente fischiato e lui tirò fuori l’apologo della Nutella e della merda (mi scuso, ma la citazione è letterale). Anche in quell’occasione Garrone lo difese e dissi che, secondo me, sbagliava.
Il giorno dopo, mi telefonarono parecchi lettori, molti autodefinitisi «sampdoriani dalla nascita», per dire che erano perfettamente d’accordo. Che i Cassano passano e la Sampdoria rimane e che quelle parole su un popolo che solo grazie a lui avrebbe sentito il sapore della Nutella erano offensive.
Mi chiamò anche Duccio Garrone, come sempre squisito. Ci capita spesso di confrontarci e ci capita spesso di essere d’accordo sul futuro di Genova e sulle sue prospettive, due temi che stanno a cuore a tutti e due. Quel giorno, invece, non eravamo d’accordo. Duccio mi raccontò che Cassano soffriva molto per non aver mai avuto un padre e mi disse che era davvero cambiato. Non mi convinse, ma mi piacque l’affetto sincero che era dietro quelle parole. Parole, davvero, degne di un papà.
Pensavo e penso che Garrone ha sbagliato molto con Cassano. Ma per troppo amore.

E quando si sbaglia per amore, ogni errore è giustificato.
Proprio per questo, gli insulti dell’altro giorno fanno doppiamente male. Perchè non c’è nulla di peggio dell’irriconoscenza e del rinnegare coloro ai quali si deve tutto. Nel calcio, in politica, nella vita.

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