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Made in Italy, ora i colossi devono giocare in difesa

Hanno chiuso il 2019 con un boom destinato a entrare nella storia: 16,2 miliardi di valore della produzione, sei per cento di crescita rispetto al 2018 ed esportazioni per 9 miliardi di euro

Made in Italy, ora i colossi devono giocare in difesa

Hanno chiuso il 2019 con un boom destinato a entrare nella storia: 16,2 miliardi di valore della produzione, sei per cento di crescita rispetto al 2018 ed esportazioni per 9 miliardi di euro. Poi c'è stato il Covid, il lungo lockdown, il crollo del turismo, della ristorazione e degli eventi. Così adesso per gli 824 prodotti italiani certificati Dop, Igp e Stg, così come per i 182mila operatori impegnati in questo settore e i 285 consorzi autorizzati, il futuro è tutto da riscrivere. I dati ufficiali post pandemia ancora non sono stati elaborati, ma gli addetti lamentano contrazioni significative degli affari, legate soprattutto all'assenza dei turisti e al forte rallentamento dei consumi fuori casa. Il fatturato dello speck dell'Alto Adige è in calo del 15 per cento, di un altro 15 per cento scende il giro d'affari del pomodoro San Marzano dell'Agro Sarnese Nocerino Dop, mentre per il Gorgonzola si parla del 17. Passando all'aceto balsamico di Modena, in questo caso almeno il 50 per cento delle aziende produttrici sta affrontando un andamento negativo, ma c'è anche chi ha visto paralizzare la propria attività. Difficile è anche la situazione del prosciutto di Parma, che sta assistendo a un calo delle vendite in Italia che oscilla fra il 25 e il 30 per cento. Insomma, quello che a tutti gli effetti può essere considerato il fiore all'occhiello dell'agroalimentare Made in Italy è a una svolta, e nessuno sa ancora con certezza cosa potrà succedere nei prossimi mesi. Di sicuro la «DopEconomy», come la chiamano gli esperti, è per l'Italia un business di prima grandezza: dei poco più di 3mila prodotti Dop e Igp riconosciuti a livello internazionale un quarto circa sono italiani.

«La pandemia ha avuto conseguenze importanti: in alcuni casi si sono interrotte le catene di approvvigionamento, in altri si sono chiusi canali di sbocco importanti come la ristorazione o l'export» conferma Raffaele Borriello, direttore generale di Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) che, poco prima del lockdown, aveva certificato l'esplosione del settore con il rapporto Qualivita 2019. «Non sono stati risparmiati i big, cioè i prodotti più blasonati, molto orientati alle esportazioni e al consumo fuori dalle mura domestiche». La stessa Ismea ha stimato una contrazione dei consumi fuori casa di poco inferiore al 40 per cento per tutto il 2020, per un ammontare di circa 34 miliardi di euro. Mentre il crollo dell'export è di almeno il dieci per cento.

PATRIMONIO IN PERICOLO

Il rischio adesso è che un circolo virtuoso fatto di eccellenza, qualità, strategie di marketing vincenti, turismo ed esportazioni possa incepparsi. E così ogni consorzio è alla ricerca di una strategia in grado di tamponare il danno. «I prodotti di fascia più alta in questo momento cercano di sostenere il prezzo riducendo le quantità, quelli di fascia più bassa al contrario aumentano le vendite per andare incontro alle esigenze dei consumatori meno abbienti. In questo modo cercano di differenziarsi conferma Magda Antonioli, docente dell'università Bocconi di Milano -. Le vendite per 16 miliardi di euro registrati lo scorso anno sono destinati a scendere, siamo di fronte a un periodo di incertezza. Ma in qualche modo è possibile sfruttare questa congiuntura negativa per crescere ulteriormente in futuro».

Un ruolo fondamentale l'avrà il marketing, così come il legame con i territori. «Si potrà puntare su eventi e degustazioni prosegue Antonioli -. Ma dovranno essere studiati anche nuovi metodi di comunicazione, improntati sulla qualità a prezzi contenuti. Il Covid può essere un momento di rottura rispetto al passato, che faccia conoscete di più il Made in Italy nel mondo come esempio di eccellenza a costi calmierati».

Nel frattempo i consorzi più organizzati stanno cercando di arginare le difficoltà, con politiche diverse. Il Parmigiano Reggiano ha, per esempio, puntato tutto sul sostegno dei prezzi. «Il calo, rispetto ad agosto 2019, ha toccato punte del 30 per cento dice il presidente del consorzio Nicola Bertinelli -. Per questo è stato necessario muoversi con decisione». Il consorzio è corso ai ripari togliendo dal mercato 160mila forme a 12 mesi, che sarebbero state vendute nell'ultimo quadrimestre del 2020. Il formaggio resterà sugli scaffali a stagionare per un altro anno con un prezzo sicuro per i caseifici di 8,25 euro al chilo. Contestualmente si è deciso di valorizzare le forme più pregiate - che raggiungeranno i 40 mesi».

La mozzarella di bufala campana Dop, invece, cerca di difendersi modificando temporaneamente il rigido disciplinare di produzione. «Oggi servono due anni per cambiarlo, ma in una situazione come questa è necessario far presto commenta il direttore del consorzio Pier Maria Sacconi -. Stiamo anche spingendo l'intera filiera verso azioni coese, mentre i singoli produttori stanno studiando nuove modalità di vendita, che però poco si conciliano con le tempistiche di scadenza legate al nostro prodotto». Inoltre c'è la questione turismo, dalla quale questo comparto dipende in modo strettissimo. «Il consumo di mozzarella è legato soprattutto al periodo estivo e alla presenza di visitatori sui nostri territori prosegue -. I limiti imposti alla ristorazione e i pochi arrivi dall'estero di sicuro non favoriscono la ripresa». A oltre mille chilometri di distanza, questo stesso problema affligge i produttori dello speck dell'Alto Adige. «Avevamo chiuso il 2019 con 2,9 milioni di baffe di speck Igp, da marzo in poi abbiamo registrato un calo dell'80 per cento nei canali di gastronomia e dettaglio racconta sconsolato il presidente del consorzio di tutela, Martin Knoll -. Questo anche a causa dell'assenza di turismo». Ecco perché anche in questo caso è stato necessario ricorrere a un po' di creatività. «Da metà marzo abbiamo avviato un servizio a domicilio sul territorio insieme con 11 dei nostri produttori. Prima sull'Alto Adige, poi in tutta Italia grazie all'e-commerce spiega Knoll -. Sui social abbiamo anche dato il via a una campagna di raccolta fondi #speckchallenge: Come gusti lo speck Alto Adige Igp. Le persone potevano inviare delle foto, facendo vedere in che modo utilizzavano il prodotto. Per ogni post pubblicato il consorzio ha donato dieci euro per la campagna Alto Adige aiuta».

L'INTERVENTO PUBBLICO

Piccoli passi ai quali però è necessario associare azioni di sostegno concrete da parte del governo. Come il recente «bonus filiera Italia», un finanziamento per gli esercizi di ristorazione che potranno ottenere un contributo a fondo perduto per l'acquisto di prodotti di filiere agricole, alimentari e vitivinicole da materia prima italiana. Approvato dal Consiglio dei Ministri è contenuto nel cosiddetto «decreto agosto», in via di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

Per il momento, come fa sapere Origin Italia l'Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche -, i 250 milioni stanziati per il Fondo indigenti hanno dato una mano a smaltire le scorte. Altri 45 milioni sono stati destinati al cosiddetto «ammasso privato», cioè al pagamento di quote alle aziende per allungare stagionatura e conservazione. Adesso però occorre fare in modo che la crisi scatenata dal Covid non metta in discussione i consumi di qualità, che da sempre differenziano il mercato agroalimentare italiano nel mondo. «In questa fase diventa fondamentale una semplificazione delle procedure amministrative, in coerenza con le attuali limitazioni e sfruttando al meglio le possibilità tecnologiche e di comunicazione agile conclude il presidente di Origin, Cesare Baldrighi -.

Allo stesso tempo bisogna sostenere l'innovazione digitale delle piccole imprese e spingere la grande distribuzione a privilegiare i prodotti nazionali di qualità».

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