Cronaca locale

Madre assolta per le violenze alla figlia

Soffre di un «grave deficit cognitivo» ed è «intellettivamente carente e affettivamente deprivata». Con queste motivazioni i giudici della nona sezione penale del tribunale hanno assolto ieri mattina una donna di 50 anni, accusata di concorso in violenza sessuale per non avere impedito al marito e al figlio ventenne di abusare, per circa due anni, della figlia adolescente. L’uomo, un operaio di 60 anni, è stato condannato, invece, a cinque anni e mezzo di reclusione. Il fratello della ragazzina è stato recentemente condannato in abbreviato a quattro anni e quattro mesi di carcere. I due erano stati arrestati nel luglio scorso e in carcere era finita anche la madre che, secondo l’accusa, non aveva denunciato le violenze, trasformandosi in una sorta di «complice» silenziosa.
Gli abusi erano emersi dopo che la ragazzina si era confidata a scuola con una suora. «Ho parlato con mia madre, ma lei non mi ha creduta», aveva scritto la ragazza confessando la sua terribile esperienza alle pagine di un diario. Dopo qualche tempo erano iniziati i sospetti da parte delle suore della scuola, quindi si era passati a una vera e propria segnalazione alle forze dell’ordine e così erano partite le indagini sulla famiglia della ragazza.
Il collegio, presieduto dal giudice Elena Bertante, ha assolto però la madre facendo riferimento nelle motivazioni anche al suo passato difficile: «Venduta all’età di tre anni ad un’altra famiglia, di seguito veniva collocata in un istituto dal quale usciva all’età di 11 anni. A quindici anni era fuggita di casa ed era poi rimasta incinta del primo figlio».
I magistrati scrivono: «Se è vero che l’imputata non sporgeva denunce, è anche vero che, nei limiti della sua condizione soggettiva, in qualche modo si attivava per arginare le condotte del marito e del figlio verso» la ragazzina, «di fatto obbedendo alle istruzioni ricevute dalle suore e dalla scuola e ponendo in essere interventi, ancorché maldestri e limitati».
Nelle motivazioni si parla, infatti, di una «minima forma di protezione alla figlia», manifestata anche «acconsentendo ad allontanarla di casa perché rimanesse» con la suora.

L’accusa nei suoi confronti, dunque, secondo il tribunale, non è provata «oltre ogni ragionevole dubbio».

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