A Madrid per studiare ma sarà a Roma col cuore

Sono un dottorando in fisica sardo, andato a studiare a Madrid, insomma lo stereotipo dell’emigrante. Sono uno dei cosiddetti cervelli che dovrebbero rientrare (a farsi tassare? E soprattutto dove? Nell’università dove, per accontentare tutti, ministeri e rettori, profondono soldi a gente che si compra il nuovo studio e un pc che non sa nemmeno usare?). Dal mio ufficio vedo, osservo e guardo, insomma rido lacrime amare per il mio Paese, la mia patria così straordinaria, così unica, patria che così tanti, anzi tutti, ci invidiano e che alla fine si ritrova oggetto di vandalismi politici.
Vorrei poter partecipare alla manifestazione a Roma, ma la distanza me lo impedisce. Per questo volevo far sentire la mia totale partecipazione con questa lettera. Perché, nonostante i senatori dei collegi all’estero siano più di sinistra, la ragione è che non vi è alcuna struttura funzionante che non sia ulivista che, peggio ancora, si appoggia ai comitati italiani all’estero e alle associazioni varie presenti. Vorrei poter venire, vorrei poter dire la mia, anche solo sfilando.

Lo vorrei perché metter tasse non è una soluzione, perché spedire due canali sul digitale è un crimine per le «nonne d’Italia», che nei programmi e nelle telenovelas di quelle emittenti hanno l’unico sostegno alla monotonia e alla depressione. Vorrei ma non posso.

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