Milano - Rieccolo. Invecchiato, con le pesanti borse sotto gli occhi a raccontare qualche acciacco di salute. Ma è sempre lui, Totò Riina, il Capo dei Capi: e quando prende la parola per revocare uno dei suoi difensori la voce è quella di sempre, secca e tagliente. In videoconferenza dal supercarcere di Opera, dove è rinchiuso nel reparto di massima sicurezza, Riina appare per la prima volta come imputato in un processo a Milano: quello per un omicidio di mafia ormai remoto, l'ammazzamento di Alfio Trovato, un catanese che non seguiva con sufficiente disciplina le indicazioni della Cupola. Lo aspettarono in fondo a viale Palmanova, dove Cosa Nostra gestiva una leggendaria bisca all'aperto, e lo crivellarono di colpi. Era il 2 maggio del 1992.
Processare Riina, già sommerso dagli ergastoli, per un delitto che si perde nella notte dei tempi, può sembrare uno spreco di energie giudiziarie. Ma per la procura di Milano, per il pm Marcello Musso che su quello e su altri vecchi delitti di mafia ha scavato per anni, l'indagine ha un valore quasi simbolico: processare e condannare per la prima volta Riina a Milano vuol dire ricordare che la "capitale morale" era terra di conquista, di delitti e di affari per gli uomini della Cupola.
A partire da lui, Totò Riina detto u'Curtu. Dal carcere di Opera, Riina si è sempre protestato innocente di quel delitto. Mentre gli altri coimputati sceglievano la strada del rito abbreviato, il Capo dei Capi ha voluto affrontare il processo in Corte d'assise. A seguire il suo esempio solo altri due uomini d'onore: tra questi Salvatore Enea detto Robertino, uno dei nomi storici della colonna di Cosa Nostra a Milano, protagonista dell'epoca ruggente dei Turatello e dei Fidanzati. Ma stamatina, in apertura di udienza, il giudice Filippo Grisolia annuncia che Enea non potrà più essere processato, nè per questo nè per altri delitti. Un fax da Palermo annunica che è morto alla fine dell'anno scorso, nel reparto ospedaliero dove era detenuto per motivi di salute.
A Riina la notizia della morte del vecchio compare non sembra fare effetto: ma forse lo sapeva già, perchè il tam tam carcerario spessofunziona meglio e più velocemente dei fax del ministero della Giustizia. Riina rimane lì, seduto, con accanto una guardia carceraria. Giacca verde, i capelli che non vogliono saperne di imbiancare del tutto.
Irriducibile, verosimilmente rassegnato a morire in prigione. Anche se qualche mese fa era cicolata una notizia quasi surreale: quella secondo cui il Padrino stava meditando di chiedere la grazia al presidente della Repubblica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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