
La Cassazione ha smesso di fare da parroco ai matrimoni altrui, e (con l'ordinanza 20415 del 21 luglio scorso) ha stabilito che due adulti possono decidere in anticipo come spartirsi i soldi quando si voglia terminare un rapporto. Sono i famosi patti pre-matrimoniali, ciò che negli Stati Uniti o nel Regno Unito sarebbero routine ma che da noi sono rivoluzione: il matrimonio è sempre stato un sacrario laico-religioso, e parlare della sua fine era segno di sfiducia o, peggio, di sospetta laicità.
Il caso è un manuale di diritto applicato alla vita reale. Mantova, 2011: lei investe stipendio ed eredità per ristrutturare la casa intestata a lui e dunque compra mobili, auto e altre cose; lui firma una scrittura privata che dice: se ci lasciamo, ti ridò 146.400 euro. Otto anni dopo, in effetti, si lasciano: allora lei chiede il dovuto, ma ecco, lui tira fuori l'articolo 160 del codice civile (che vieta modifiche private ai rapporti patrimoniali) ma perde in primo grado, in appello e ora in Cassazione: l'accordo è lecito e non tocca diritti inderogabili. Vittoria. Incredibile.
Rivoluzione, si diceva. Per decenni il diritto di famiglia italiano ha trattato i coniugi come incapaci di regolarsi da soli: meglio lasciarli scannare in tribunale. Il risultato lo conoscono bene i matrimonialisti come Marco Meliti: anni di cause, conti svuotati e figli trasformati in trofei, il tutto per una cultura che ha confuso il «finché morte non vi separi» con un «finché un giudice non vi levi la pelle».
Altrove, di recente, persino Jeff Bezos e Lauren Sanchez patrimoni miliardari hanno pattuìto ogni clausola (corna comprese) prima di sposarsi a Venezia. Da noi, invece, la sola idea di un contratto prematrimoniale è stata sempre sinonimo di freddezza calcolatrice, roba da cinici sfrontati. Meglio la guerra, le perizie psichiatriche, le memorie integrative e gli anni buttati.
Restano dei limiti, ovviamente: niente clausole sul mantenimento oppure sui figli senza che ci sia il vaglio del giudice, questo perché il matrimonio resta «di interesse pubblico»: come se la collettività dovesse essere protetta dal rischio che due persone si accordino civilmente. Intanto, però, è caduto un tabù: la libertà contrattuale entra in casa dalla porta principale.
Non è il trionfo del cinismo, ma della razionalità e della logica: decidere oggi come non massacrarsi domani. Un'assicurazione sulla civiltà, non sull'amore. La Cassazione lo dice: nessuna norma imperativa lo vieta, ma semplicemente, sinora, era mancato il coraggio di ammetterlo.
Il messaggio potrebbe essere: una relazione seria non equivale a restare insieme a tutti i costi e
neppure detestarsi a colpi di citazioni in tribunale. Questa sentenza è un buon inizio, ed è pure gratis: un foglio, due firme e un po' di realismo. Il resto lo farà la vita, che più resta lontana dai tribunali e meglio è.