Cassazione, quell'intralcio all'equilibrio dei poteri

Al tempo della democrazia del pubblico, nessuno può far finta d’ignorare le conseguenze che un atto pubblicizzato attraverso il web può provocare

Cassazione, quell'intralcio all'equilibrio dei poteri
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Fino a pochi giorni fa l’Ufficio del Massimario della Cassazione era noto alle cronache per aver dato riparo, in un frangente della sua carriera, a Raffaele Cantone. Il noto magistrato, prima di assumere la guida dell’Autorità Anticorruzione aveva infatti lavorato nella sua sezione penale. Roba sconosciuta al grande pubblico. Nota solo agli esperti degli arcana imperii. Tutto è cambiato nei giorni scorsi. L’ufficio, improvvisamente, è assurto agli onori delle cronache. Prima una sua amplissima relazione sui motivi di presunta incostituzionalità del decreto sicurezza è trasmigrata dal web alle redazioni. Pochi giorni più tardi, è stata la volta del protocollo Italia-Albania sui migranti anche se, in questo caso, il documento vergato dalla sezione civile dell’Ufficio non aveva avuto pubblicizzazione mediatica.

Un noto proverbio dice che non c’è due senza tre. Prima che esso si avveri, però, è bene domandarsi se la diffusione di questi pareri migliori o meno la salute delle nostre istituzioni. Il quesito concerne la razionalità del sistema, non la convenienza di questa o quella parte politica. La risposta, perciò, va ricercata prescindendo dagli aspetti di merito dei provvedimenti: si può anche essere contrari ad alcuni aspetti del decreto sicurezza, ma non per questo ritenere opportuno l’intervento dell’ufficio della Suprema Corte.

Una traccia c’è stata offerta da un convegno svoltosi in questi giorni al Senato della Repubblica, in occasione del centenario del Presidente Napolitano. Nella giornata dedicata alle istituzioni, si è sottolineata la predilizione del Presidente per l’uso dell’auctoritas in vece della potestas alla quale, nel corso della sua “presidenza lunga”, fece ricorso solo in tre occasioni. È stato il Presidente Larussa - certamente non ascrivibile alla parte politica dalla quale proveniva Napolitano - a testimoniare l’abilità che egli dimostrò nell’utilizzo della moral suasion, in frangenti complessi e in ambiti difficili come quello della difesa. Tale attitudine ha scavato un solco consuetudinario, che innova rispetto alla prassi dei suoi immediati predecessori e offre una scia. L’attuale Presidente Sergio Mattarella l’ha saputa sfruttare con sensibilità; persino con maestria. Ciò è valso, in particolare, in occasione dei provvedimenti governativi più controversi. È in questi casi, infatti, che è importante tener presente come la Carta affidi la funzione d’indirizzo politico al governo, formatosi in base alle indicazioni provenienti dalla sovranità popolare. Mentre il Presidente della Repubblica ha l’alto compito di accertare la non esistenza di motivi di palese e manifesta incostituzionalità.

Qualora li scorga, può agire attraverso il consiglio e la persuasione per indurre a correggere, emendare, eventualmente espungere qualcosa da un testo? La risposta è si, laddove tale esercizio venga esercitato con spirito di collaborazione istituzionale. Verrà agevolato, in tal modo, anche il compito della Corte Costituzionale che è il solo organo deputato a pronunziarsi, allorquando e se chiamato in causa, sulla costituzionalità di una legge o di un provvedimento.

Questo delicato meccanismo non deve essere alterato da interferenze indebite. Nel caso dell’Ufficio del Massimario si sta parlando di un mero parere privo di alcuna conseguenza giuridica. Al tempo della democrazia del pubblico, però, nessuno può far finta d’ignorare le conseguenze che un atto pubblicizzato attraverso il web può provocare. E queste conseguenze, per di più, non sono controllabili. Nel caso in specie, l’intento era quello di colpire il governo. Non sono mancati, invece, coloro i quali hanno interpretato quel documento come una indiretta censura verso il Presidente della Repubblica che invece di rinviare alle Camere, grazie all’esercizio della sua auctoritas, ha ottenuto la rimozione di alcune parti del provvedimento, che poi il governo ha trasformato in un decreto legge. E la «ola mediatica» sollevata dalla disamina della Cassazione non dev’essere piaciuta neanche ai giudici delle leggi, che vi avranno scorto l’anticipo di un lavoro che, eventualmente e a tempo debito, spetta solo a loro.

Quei pareri, insomma, si frappongono tra i due palazzi che dominano Piazza del Quirinale

rischiando di alterare un meccanismo ben rodato. È altamente consigliabile, perciò, che l’innovazione istituzionale da essi introdotta non abbia seguito. Che si ritorni al passato e che, per una volta, il proverbio venga smentito.

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