
Un procuratore della Repubblica trasformato in anchorman, il racconto mediatico della giustizia affidato non a una noiosa sentenza o un ancor più noioso giudice ma a una parte del processo: la pubblica accusa, già oggi dotata di superpoteri, e che ora si ritrova padrona non mediata, senza filtri, senza contraddittorio, anche del piccolo schermo. L’arruolamento annunciato di Nicola Gratteri (nella foto), procuratore della Repubblica a Napoli, da parte di La7 che lo hai inserito nei palinsesti della prossima stagione presentati ieri è indubbiamente un grande colpo per la rete di Urbano Cairo e Andrea Salerno: Gratteri è probabilmente oggi il procuratore della Repubblica più popolare d’Italia, idolatrato dai fan della giustizia a tutti i costi fin da quando operava in Calabria. Ed è anche personaggio che sa utilizzare con abilità i mezzi della comunicazione presentando i tanti processi e a volte glissando su soluzioni e scarcerazioni, per sostenere la sua visione della giustizia.
Il problema non sono né La7 né Gratteri (che ieri spiega al Giornale di andare in onda a titolo gratuito e nei giorni di ferie) ma le regole del sistema giustizia che impongono ai magistrati la autorizzazione dei loro capi o del Consiglio superiore della magistratura per andare a far parte del circolo direttivo di una bocciofila di paese, ma consentono a un magistrato a tutti gli effetti in funzione di andare a trasformarsi in personaggio televisivo, come se i doveri di riservatezza si fermassero sulla porta degli studios. Gratteri è bravo, sa bucare il video, piace e si piace: ma questo rende il tema ancora più scottante. Se fosse stato un semplice pubblico ministero avrebbe probabilmente dovuto chiedere l’autorizzazione al proprio capo, ma Gratteri è il capo di se stesso e quindi - come confermano ieri al Csm - può fare quello che gli pare.
Saranno quattro puntate, si chiameranno «Lezioni di mafie», non parleranno di inchieste in corso (e ci mancherebbe altro) ma racconteranno il tema delicatissimo della lotta al crimine organizzato attraverso la visione solo di una parte, e questo è il vero problema: perché è un tema su cui anche recentemente le procure della Repubblica hanno dato prova di accanirsi su innocenti (per conferma, chiedere al generale Mori).
Negli stessi giorni in cui il tema delle separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici arriva a (quasi) conclusione col voto del Parlamento sulla riforma costituzionale, l’arruolamento televisivo di Gratteri porta l’attenzione sulla gravità della mancata separazione tra altre due carriere che vanno da tempo di pari passo: quelle tra i pubblici ministeri e il racconto mediatico delle loro inchieste spesso affidato a organi
di stampa abituati a utilizzare più gli occhi dell’accusa che quelli della difesa. Da quest’anno Gratteri non avrà più neanche bisogno di un giornalista che racconti per conto suo le sue imprese: lo farà direttamente lui.