La malafede dei referendari: pure l’acqua diventa no Cav

C’è qualcosa che non

torna nelle polemiche

di queste ore intorno

al referendum contro

la privatizzazione dell’acqua. I promotori dell’iniziativa referendaria vivono con disagio l’ipotesi che il governo emani

un decreto che faccia nascere un’Authority che gestisca in futuro il grande capitolo della liberalizzazioni dell’acqua.
Dopo Pasqua alla Camera è previsto l’esame del decreto omnibus, nel quale il governo ha inserito

la norma che, di fatto, blocca il programma

di costruzione delle centrali nucleari.

Nello stesso provvedimento potrebbe infatti entrare

un emendamento per rendere vano anche

il referendum sull’acqua. Così dicono, tra

il terrorizzato

e l’indignato, i promotori

del referendum stesso.
Ma perché sono tanto preoccupati? Il tema

è delicato, questo l’hanno detto sia esponenti

della maggioranza sia dell’opposizione.

Se il governo interviene

con un decreto significa

che ha a cuore il problema

e probabilmente vuole

che il provvedimento

sulla privatizzazione

delle risorse idriche ci sia

la più alta condivisione possibile. Diciamo pure

che c’è la possibilità

che sia soltanto una manovra per evitare

il referendum. Possibile, appunto. E però:

che problema c’è?

La consultazione popolare

è una possibilità prevista dalla Costituzione esattamente come lo sono

i decreti del governo.

La democrazia offre

un ventaglio di opportunità normative

e piaccia o no, sono tutte perfettamente lecite.

Allora perché

si lamentano tanto? Perché gridano al complotto legislativo (un ossimoro, evidentemente)? Il sospetto qui a questo punto

è un altro: che ai signori promotori del referendum non interessi né la legge sull’acqua, né il futuro

di una delle risorse più importanti per la nostra civiltà.

Quello che interessa

è soltanto portare la gente alle urne per un altro

tipo di referendum:

pro o contro il governo,

pro o contro il presidente del Consiglio. E questo

sì che sarebbe

un oltraggio alla nostra Costituzione.

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