Politica

«La malagiustizia per due volte ha distrutto la mia famiglia»

nostro inviato a Città di Sant’Angelo (Pescara)

Lui, l'orco, ha 38 anni e il cervello un po' così. Quando non assale le bambine, lavora, passeggia per i vicoli del centro e ogni tanto se ne va pure con gli amici a quel bar da dove si vede il mare. Lei, la fatina, di anni ne ha solo dieci anni ma già deve dormire con le forbici sotto il cuscino. «Papà - spiega - , io mi devo difendere. Che faccio se poi di notte quel mostro entra dalla finestra?».
Lui è libero. Eppure l'avevano beccato quasi subito, quel mercoledì della settimana scorsa, quando aveva messo pesantemente le mani addosso alla bambina. I carabinieri l'avevano trascinato in caserma, messo a confronto con la vittima impaurita e tremante, denunciato per violenza sessuale aggravata nei confronti di una minore, inchiodato grazie a un passante che aveva visto tutto. Ma niente da fare, il pm ha deciso che, in attesa di un formale incidente probatorio, doveva restare fuori di galera.
Lei invece è prigioniera in casa, sbarrata nella sua stanza, attanagliata dai dubbi, dalle paure e dalle domande senza risposta. «Papà, ma che ho fatto di male? Perché non posso più uscire? Perché quello là non è stato arrestato?». Niente più scout, niente amichette. E a scuola, trecento metri più in là, in fondo a via Gabriele d'Annunzio, ci si va solo in pulmino e scortati dall'assistente sociale. È passata solo una settimana ma Luca Giacintucci, il papà, non ne può proprio più. «Ho le mani legate, non posso certo farmi giustizia da solo. Lo Stato mi ha abbandonato. Anzi, mi ha accoltellato di nuovo». La prima risale al 1992, quando suo padre, Rocco, all'epoca sindaco dc di Sant'Angelo, 12 mila abitanti, venne arrestato per una storia di concessioni edilizie, di supermercati e di tangenti. Arrestato ma innocente: dodici anni e ventuno processi dopo, Rocco Giacintucci fu prosciolto «perché il fatto non sussiste». Suo figlio Luca, ingegnere, nel frattempo era stato licenziato dall'azienda dove lavorava proprio per colpa di quell'inchiesta. «E sono rimasto per anni a spasso - racconta - arrangiandomi a fare quello che trovavo. Trasportatore di mobili, scaricatore di frutta, fattorino. Chiedevo un posto e mi rispondevano: non possiamo fare niente, tuo padre sta così, ha rubato, che cosa pretendi. La mia però è una famiglia onesta, nessuno di noi ha messo dei tesori da parte e io, guardi, abito in questo piccolo appartamento in affitto. Adesso va un po' meglio, sono tornato a fare l'ingegnere in una società che fa impianti e gasdotti a livello internazionale, ma mia moglie Vittoria per arrotondare il bilancio è costretta a occuparsi delle pulizie negli uffici comunali».
Adesso la seconda pugnalata, vedere che il molestatore di sua figlia, colto praticamente sul fatto, se ne va tranquillamente a spasso per il paese. «È un paradosso. Ho conosciuto sulla pelle mia e della mia famiglia entrambe le facce della malagiustizia. Il giustizialismo becero che ha travolto mio padre e il garantismo arrendevole e eccessivo che non riesce a punire chi fa una violenza su mia figlia. Chi la protegge? Chi ci assicura che quel ragazzo un po' tarato che tutti conoscono non le darà più fastidio? E che succederà da martedì?».
Perché martedì? «Perché martedì - risponde - devo partire. Devo andare in Kazakistan per due mesi e mezzo per conto della mia società. E come faccio a lasciare sola la bambina, con la sorellina di due anni e con mia moglie che aspetta un altro bambino? Come posso andarmene in queste condizioni sapendo che quel tipo è in giro? Lo sa dove abita? A metà strada tra casa nostra e la scuola, può appostarsi in qualsiasi punto di via D'Annunzio. Ma dico, almeno potevano fermarlo, dargli gli arresti domiciliari, o sistemarlo in un ospedale psichiatrico visto che non ha tutte le rotelle».
L'ingegner Giacintucci ha scritto al ministro della Giustizia Alfano e a quello dell'Interno Maroni chiedendo di non essere abbandonato. Poi ha scritto pure al Giornale. «Io mi preoccupo anche per gli altri bambini della scuola. Che quel ragazzo fosse uno squilibrato lo sapevano tutti. Ora sanno pure quello che ha fatto». E nessuno interviene… «Dalla scuola nemmeno una telefonata. Della magistratura le ho detto. Gli unici sono i carabinieri: ogni tanto passano qui sotto e si fanno vedere alla fine delle lezioni. Per il resto nulla. Dopo l'estate, quando torno dal Kazakistan, trasferisco tutti a Parma. Speriamo solo che quel tipo, prima della giustizia, non lo incontri io. "Stai calmo", mi ha detto l'avvocato.

Ma se capitasse tra le mani, altro che calmo».

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